Ci sono poche certezze nella nostra vita. La principale, su cui ciascuno di noi avrebbe il sacrosanto diritto di fare affidamento, è rappresentata dalla famiglia. Un nucleo di affetti solidale e coeso rappresenta senz'altro un punto di forza irrinunciabile per affrontare ogni situazione di criticità o debolezza, morale o economica che sia.
Il famoso ossimoro “parenti serpenti”, tuttavia, costituisce un'eccezione sempre più frequente a questa regola aurea, tanto da portare fratelli e sorelle, cugini, zii e nipoti a litigare spesso per questa o quella eredità, senza remore di sorta ad invocare l'intervento della giustizia terrena affinché venga ripristinato e riconosciuto l'esatto confine tra ragione e torto.
La sola idea di poter far causa a mio fratello per rivendicare un pezzo di terra o una porzione di casa, francamente, mi rattrista, ma devo cedere all'evidenza dei dati statistici che indicano un numero in progressivo aumento di queste beghe familiari.
E poi ci sono i divorzi, di cui spesso discuto con voi, che vedono i padri obbligati a versare sonanti assegni assistenziali e di mantenimento anche quando le loro condizioni economiche sfiorano l'indigenza e che spesso riportano condanne penali per non avere adempiuto al loro dovere.
Al riguardo, la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione (con la sentenza n. 29896 del 2019) è intervenuta per mitigare l'eccessivo rigore della legge (che, talvolta, si traduce in un vero e proprio accanimento giudiziario) stabilendo che non commette il reato di cui all'art. 570, secondo comma, del codice penale (Violazione degli obblighi di assistenza familiare) il genitore che versa solo in parte, dunque in misura ridotta, l'assegno di mantenimento nei confronti del figlio, poiché questo delitto sussiste solamente qualora tale condotta abbia inciso in maniera apprezzabile sui mezzi di sussistenza che l'onerato è tenuto a fornire al minore, tenuto conto della di tutte le altre circostanze (ovvero delle spese effettivamente sostenute e delle somme che sono state versate).
Resta salva, ovviamente, la possibilità per la persona offesa di agire in sede civile per il recupero delle somme non versate.
Ne consegue che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l'inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la "gravità", ossia l'attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, appunto, ad evitare.
Una decisione che rappresenta indubbia espressione di civiltà giuridica, di cui va reso merito (mai come in questo periodo ferita) alla parte più virtuosa della magistratura.
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