Il Fmi conferma le stime dell'Italia per il 2019, il Pil dovrebbe crescere dello 0,1%, mente rivede leggermente al ribasso quelle per il 2020: la crescita si fermerà al +0,8%, cioè 0,1 punti percentuali in meno rispetto al +0,9% stimato in aprile. I risultati di quest'anno e del prossimo seguono il +1,7% registrato dal Pil dell'Italia nel 2017 e il +0,9% del 2018. "In Italia l'incertezza sulle prospettive di bilancio resta simile a quella riscontrata in aprile con un impatto sugli investimenti e la domanda interna", sottolinea il Fondo monetario internazionale nell'aggiornamento del World Economic Outlook.
La crescita italiana dunque rallenta nel 2020: e lo fa in un contesto mondiale che decelera fra le crescenti incertezze, dalle tensioni commerciali a una possibile Brexit no deal. Il Fondo monetario internazionale rivede al ribasso le stime sulla ripresa globale, già ai minimi dalla crisi finanziaria, descrivendola come «debole e precaria» pur senza intravedere una recessione.
Ma avverte: ci sono molti rischi al ribasso, alcuni dei quali potrebbero essere rimossi perché auto-inflitti. Il Fondo monetario lascia quindi invariate le prospettive di crescita per l’Italia nel 2019 ad un mediocre +0,1 per cento e ritocca lievemente all’ingiù, rispetto ad aprile, le stime del 2020, portando il Pil stimato a + 0,8 dal precedente 0,9 per cento. Il motivo è spiegato en passant: l’incertezza politica è sempre là, campeggia nello stesso modo in cui riempiva il quadro ad aprile scorso e continua ad intaccare lo sviluppo degli investimenti e la dinamica della domanda interna.
La cifra scelta nell’aggiornamento del World economic outlook in ogni caso è quella dell’understatement. Del resto anche quest’anno gli esperti dell’organismo di Washington guidati da Rishi Goyal hanno scelto di fare una prima capatina nel nostro Paese tra l’11 e il 19 luglio ma hanno rimandato al quarto trimestre dell’anno il momento della missione ufficiale in Italia prevista dall’articolo IV dello statuto. Il perché è facilmente intuibile: solo all’inizio dell’autunno saranno chiare le decisioni di politica economica del Governo per il 2020, a cominciare dalla riforma fiscale, con ipotesi che, variamente soppesate e aggiunte ai 27 miliardi necessari per cancellare l’aumento dell’Iva, finanziare le spese indifferibili e gli investimenti, danno sempre la rispettabile somma di 40 miliardi da coprire.
E quindi per ora i super ispettori Fmi, nelle conversazioni con i principali centri studi italiani, si sono limitati a lasciar trapelare le loro preoccupazioni sull’Italia: il paese rimane vulnerabile alla volatilità di mercato, per via delle sue esigenze di rifinanziamento sia a livello di debito sovrano che di banche; le sofferenze, è vero, sono diminuite ma i crediti unlikely to pay sono in aumento; tanto più importante perciò un consolidamento fiscale che sia a favore della crescita, per mantenere la fiducia degli investitori.
Ma le sollecitazioni, almeno per ora, non sono state particolarmente incalzanti. Fortunatamente infatti in tutto il mondo dalle banche centrali è arrivata un’intonazione particolarmente “dovish” (che per la verità, dovrà essere testata di qui a fine mese nelle riunioni di Bce e Fed). Lo stile da colombe ha comunque rasserenato i mercati finanziari.
Per noi italiani in particolare come sottolinea anche il centro studi Confindustria, a determinare una sensibile riduzione dello spread sui titoli di Stato hanno contribuito tre fattori: il primo è il discorso di Sintra di Mario Draghi, con la comunicazione della volontà di mantenere i tassi invariati per almeno un anno, dei dettagli sulle operazioni finalizzate a garantire liquidità al sistema e della possibilità di ulteriori stimoli. Il secondo è la decisione della Commissione europea di non avviare per ora una procedura per disavanzo eccessivo basata sul criterio del debito nei confronti dell’Italia. Il terzo è il manifestarsi di alcuni dati macroeconomici migliori delle attese, come quelli sul mercato del lavoro e sulle entrate.
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