Ci sono espressioni e comportamenti che, oramai, sono diventati di patrimonio comune, sdoganati dal senso proprio e tecnico nel cui àmbito sono nati e si sono evoluti.
Alle volte si assiste ad accostamenti lessicali improbabili che, tuttavia, vengono avallati nientemeno che da associazioni nazionali a tutela della lingua italiana, come nel caso dell'Accademia della Crusca che, tempo fa, ritenne (bontà sua) di concedere l' “imprimatur” all'espressione “reato penale” il cui utilizzo, oggi giorno, risulta senz'altro inflazionato, più per esigenze di enfasi giornalistica, che di reale utilità e correttezza giuridica.
Tralasciando noiose digressioni di diritto romano, mi sembra doveroso precisare che il reato è solo penale. Non esiste un reato civile, ma un eventuale illecito civile. Il reato è un comportamento umano cui la legge ricollega l'irrogazione di una specifica sanzione, chiamata “pena” (detentiva o pecuniaria che sia). E di esempi ce ne sarebbero altri, come l’intramontabile intimazione “ti denuncio”, anche se in realtà le intenzioni sono quelle di ottenere solo un risarcimento del danno.
Ci sono, poi, azioni legali il cui valore viene eccessivamente dilatato, anche in tal caso creando scorretta informazione e, soprattutto, sproporzionate aspettative di vittoria in capo a chi ne fa uso.
Prendiamo a modello il decreto ingiuntivo, ossia il tipico strumento utilizzato da chi, ritrovandosi tra le mani una fattura non pagata, decide di ricorre al Giudice affinché ordini (ingiunga, appunto) al debitore di pagare la somma dovuta, a pena di esecuzione forzata sui propri beni (pignoramento e quant'altro). Bene. Dovete, però, sapere che il procedimento per ingiunzione di pagamento si compone di due fasi. Una necessaria e l'altra eventuale. La prima, attivata dal creditore con l'ordine giudiziario di pagare; la seconda promossa dal debitore che decida di opporsi a quell'ordine, contestando la legittimità della richiesta. Non è detto, infatti, che vinta la prima battaglia il creditore vinca anche la guerra. Nonostante chi ha emesso la fattura possa, in base a tale documento, ottenere l'emissione di un decreto ingiuntivo, ove nel successivo giudizio di opposizione sia contestato il rapporto principale essa non può costituirne valida prova, dovendo il creditore fornire nuove prove per integrare con efficacia retroattiva la documentazione offerta nella fase ingiuntiva. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con l'ordinanza n. 17659/2019 secondo cui quando il debitore contesta il rapporto contrattuale con il creditore, la fattura non potrà costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio.
A titolo informativo, vi segnalo che questa decisione riguardava una vicenda relativa al presunto inadempimento di bollette per fornitura di acqua potabile. E, quindi, il principio può valere per qualsiasi altro tipo di bolletta e di rapporto sottostante.
Interessante, direi.
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