Unire ciò che era diviso. Sembra semplice sulla carta il compito del neo segretario piddì abruzzese, Michele Fina, ma non lo è affatto. Al di là delle procedure (candidato unico alle primarie del prossimo 20 luglio) ciò che spicca in questa nuova avventura è il cambio di passo che attende l'ex collaboratore del ministro Orlando.
Riallacciare i fili con un elettorato disilluso e assuefatto al dalfonsismo, animare una piazza che può tornare a riempirsi per coagulare un'alternativa al salvinismo che parli anche al centro, costruire davvero una nuova classe dirigente che nell'ultimo lustro ha fatto parecchia fatica ad emergere.
Crisi, non a caso, è stata la parola che Fina ha utilizzato per spiegare analiticamente il momento del Pd e la possibile evoluzione del bipolarismo Salvini-resto d'Italia. “Abbiamo deciso di unire ciò che era diviso, perché abbiamo un patrimonio che viene da lontano e che dobbiamo traghettare. Siamo consapevoli che la crisi è così profonda che lo scontro a breve potrebbe essere tra Salvini e chi è peggio di lui”.
Oltre ai nomi che si stanno schierando in questo anno zero del Pd, tanto in Abruzzo quanto nelle altre regioni, sarà interessante toccare con mano i passi che Fina compierà già da subito: il riferimento è alla modalità pensatoio che il neo segretario vuol dare al partito, certo che occorre come l'aria “ricostruire un partito oggi destrutturato e restituirgli un pensiero politico. Da qui nasceranno le idee alternative al governo nazionale e al governo regionale”. Ogni riferimento al renzismo è puramente casuale.
Idee riformiste come quelle green su cui, ad esempio in Germania, sta nascendo un nuovo polo che sta ipotecando anche la futura composizione della Grande Coalizione. L'avanzata verde ma senza la vetusta ideologia di Greta è un oggettivo banco di prova, tanto per la sinistra progressista quanto per il civismo a caccia di un perimetro dopo l'esperimento a sostegno di Giovanni Legnini alle scorse regionali d'Abruzzo (ma nessuno si illuda di cancellare corpi intermedi e associazionismo). Insomma, la sfida al passato dalfonsiano e al presente populista è partita. E non sarà facile.
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