I problemi finanziari dell’Inpgi, l’ente di previdenza dei giornalisti italiani, non derivano da una sua cattiva gestione ma dagli scarsi ricavi contributivi. Tanto per mettere qualche cifra sul tavolo, basti pensare che dal 1997 ad oggi l’Inpgi ha svolto 2mila verifiche ispettive che hanno condotto a un accertamento di oltre 240 milioni di euro tra contributi e sanzioni. A parlare davanti alla commissione parlamentare enti gestori sulle politiche di investimento e spesa dei fondi pensione e delle casse professionali è stata Marina Macelloni, presidente dell’istituto, a poche ore dalla sospensione del commissariamento.
Solo due giorni fa le commissioni bilancio e finanze della camera hanno approvato all’interno del dl Crescita un emendamento, presentato dai relatori Giulio Centemero (Lega) e Raphael Raduzzi (M5S), che ferma il commissariamento dell’Inpgi per tutto il 2019 e che dà 12 mesi di tempo, dalla conversione del decreto, per riequilibrarne la gestione da un punto di vista finanziario.
A partire, si legge nella proposta inserita poi nel provvedimento, “dal contenimento delle spese e in subordine agendo sulle entrate contributive”. E proprio dal problema contributivo è partito l’intervento di Macelloni. A preoccupare infatti non è solo l’evasione. “Noi abbiamo una situazione fortemente critica nella gestione che riguarda i lavoratori dipendenti. Nel corso degli anni – ha spiegato – l’Inpgi ha subito le stesse criticità che subisce il sistema generale, cioè un calo fortissimo del lavoro dipendente e la trasformazione da lavoro dipendente a lavoro autonomo, che ha comportato uno sbilancio previdenziale di circa 147 milioni nell’ultimo anno”.
Invece “la gestione separata (il cosiddetto Inpgi 2) fa registrare costantemente tassi di crescita molto alti sia del patrimonio che degli iscritti. Ciò dimostra che non è la professione giornalistica in crisi ma è la modalità di svolgimento della professione che si sta fortemente trasformando. Negli ultimi cinque anni – ha ricordato – abbiamo perso tremila rapporti di lavoro dipendente assicurati, pari al 15% della platea degli iscritti”. Attualmente “il numero dei rapporti di lavoro dipendente accertati ammonta a 3mila unità, cioè il 25% dell’attuale platea di iscritti, a cui si aggiungono altre 1.500 posizioni per le quali era stato erroneamente costituito il rapporto previdenziale presso un altro ente”.
La questione dunque è che cambia il modo in cui si fa il lavoro di giornalista, aumentano i freelance e in parallelo calano i contributi. “L’analisi della situazione editoriale in Italia e delle trasformazioni che la produzione di informazione sta attraversando – ha detto ancora il presidente Inpgi – ci ha portato a pensare che il problema principale del nostro Istituto non è la gestione, non sono le uscite, che anzi grazie alle riforme iniziano a mostrare i primi segnali decisivi di frenata, ma abbiamo una sofferenza sul piano delle entrate, mancano i ricavi da contributi, perché manca la capacita di intercettare il lavoro per come sta cambiando”.
Qualche nota positiva arriva dall’ultima riforma delle pensioni che ha visto il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. “Nei primi due anni di applicazione della riforma che vede i pensionati andare in pensione con il sistema in parte retributivo in parte contributivo – ha spiegato Macelloni -, tutti i trattamenti li stiamo erogando con il retributivo perché costa meno. Su una platea con i redditi composti come i nostri l’applicazione secca del contributivo sarebbe stato un danno per l’ente. Con l’ultima riforma – ha proseguito – abbiamo anche rivisto la determinazione della media retributiva con effetto retroattivo da gennaio 2007. Questa misura ha comportato un risparmio incrementale su tutte le nuove pensioni di circa 1,2 milioni l’anno”.
Il numero uno dell’ente di previdenza dei giornalisti ha pure accennato alla crescita della spesa per gli ammortizzatori sociali. “Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali dal 2010 si è manifestata una progressiva crescita della spesa che ha raggiunto l’apice nel 2016 con un aumento per gli assegni di cassa integrazione pari a 550% e per i contratti di solidarietà pari al 700%. Nel 2017 – ha detto ancora – si è verificata una diminuzione delle richieste e dei costi legata probabilmente all’esaurimento momentaneo dei fondi statali stanziato per i prepensionamenti”.
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