Credo che ognuno di noi mantenga impressi nella propria mente dei ricordi, delle situazioni, degli incontri che, nonostante il trascorrere del tempo, non riusciranno mai ad essere rimossi. Personalmente mi capita spesso di tornare indietro ai tempi (piuttosto lontani) in cui frequentavo l'università e rispetto ai quali non posso non tracciare un bilancio tutto sommato positivo, sia a livello didattico che umano, avendo avuto la fortuna di avere docenti qualificati e compagni di corso intelligenti e preparati.
In particolare mi balza alla mente un istituto giuridico, di cui è dubbia l'effettiva esistenza, ma che ebbe la capacità di catturare la mia attenzione, tanto lo trovai atipico, anche se in linea con i costumi dell'epoca. Si tratta del cosiddetto “ius primae noctis” (in italiano: “diritto della prima notte”) con cui si indicava un preteso diritto da parte di un signore feudale il quale, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, avrebbe potuto pretendere di sostituirsi al marito nella prima notte di nozze. I tempi sono certamente cambiati, e forse il “ius primae noctis” oggi viene sostituito con altre forme di scambi più o meno consenzienti, ma non è di questo che voglio parlarvi.
Piuttosto, mi interessa segnalarvi una recente sentenza della Cassazione (la n. 17676/19 del 29.04.2019) con cui la Corte ritorna sull’argomento e si interroga su un quesito interessante: esiste il diritto ai rapporti sessuali tra coniugi? Anzitutto va detto che, secondo numerose sentenze, è illegittimo – se immotivato – il rifiuto di rapporti sessuali. E questo perché il dovere morale di assistenza dei coniugi previsto dal codice civile consiste nel soddisfare le reciproche necessità, non solo economiche ma anche fisiche. Il rifiuto ad avere rapporti sessuali per la legge rappresenta la manifestazione di una volontà che dichiara di non avere intenzione di adempiere a tale dovere coniugale.
Per capire quale sia la frequenza che si possa richiedere al coniuge bisogna, invece, affidarsi al buon senso e a una “normale” vita sessuale. Viceversa, bisogna stare molto attenti in relazione ad un aspetto che potrebbe giocare a sfavore sia del coniuge più “focoso”, che di quello meno coinvolto. Chi vuole per forza avere i rapporti sessuali deve prestare molta cautela a non commettere il reato di violenza sessuale; dal lato opposto, invece, c’è il rischio, per chi vi si vuole sottrarre, di subire il cosiddetto addebito e di perdere il diritto al mantenimento.
Secondo la Corte di Cassazione non esiste un “diritto all’amplesso” solo perché tra due persone c’è un rapporto coniugale o paraconiugale e non esiste neppure il potere di imporre o esigere una prestazione senza il consenso del partner. Se però il diniego ai rapporti sessuali non è occasionale, ma costante ed immotivato (privo cioè di valide ragioni) il partner respinto può chiedere la separazione con addebito a carico dell’altro, sempre che il rifiuto non sia giustificato se la coppia versava già in una situazione di conflittualità conclamata. Ora che ci penso, non ricordo il voto che mi diede il prof…
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