Il 9 gennaio 2018 per l’Abruzzo è una data da cerchiare in rosso. Perché alla Corte Costituzionale si discuterà, ancora una volta, del bilancio della regione. Su cui si gioca una partita che sembra decisiva per le sorti della giunta guidata da Luciano D’Alfonso. Che non a caso guarda con fiducia alla prossima Legge Finanziaria per vedersi accordare un salvifico ammortamento a 20 anni del debito accumulato, va detto, nelle gestioni passate. E che, per dimostrare che la volontà di cambiare passo c’è, nonostante l’afa di questi giorni, è stata costretta agli straordinari agostani per rifare per l’ennesima volta i conti. Solo queste due circostanze bastano a far comprendere come si tratti di una questione di vita o di morte.
La regione era uscita già ammaccata, sulla stessa questione, solo pochi mesi fa. Quando sempre la Consulta aveva bocciato i meccanismi di rendicontazione adottati alle latitudini abruzzesi e denunciati ripetutamente dalla Corte dei Conti. Che aveva certificato, tra le altre cose, come gli avanzi presunti erano serviti per giustificare il sovradimensionamento della spesa rispetto alle risorse effettivamente disponibili.
Stesse storture rilevate dal governo. Che pur comprendendo quanto sia impegnativo continuare a garantire i servizi al cittadino dovendo riallineare conti di questo genere, ha deciso comunque di impugnare la legge regionale del 20 marzo 2017. Con cui la Regione ha provato ad adottare il Rendiconto generale per l'esercizio 2013, il conto finanziario, il conto generale del patrimonio e la nota illustrativa preliminare: una legge di 18 articoli andata di traverso a Palazzo Chigi. Anche perché il Rendiconto 2013 per l’Abruzzo è diventato una sorta di Moloc: è il primo dopo anni di buio pesto, del commissariamento della sanità, delle spese pazze che hanno prodotto una voragine che ora rischia di inghiottire tutto.
Insomma è uno spartiacque tra il passato e il futuro su cui dovrà modellarsi l’adozione dei rendiconti successivi che ancora mancano all’appello e su cui si lavora ventre a terra.
Nel ricorso che si discuterà subito dopo l’Epifania alla Consulta, il governo a marzo ha detto che no, non si sta andando nella direzione giusta. Tant’è vero che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della legge abruzzese. E per una serie di motivi che vanno dal pregiudizio dell'equilibrio finanziario regionale alla violazione dei principi in materia di coordinamento della finanza, fino al contrasto con i principi in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici.
Per Palazzo Chigi le modalità adottate in Abruzzo rischiano di far saltare tutto. E sono talmente ‘rivoluzionarie’ da mettere in discussione la stessa competenza legislativa riservata in via esclusiva allo Stato in materia di sistema contabile. “Si tratta di un provvedimento normativo che nel suo complesso e nella sua interezza non solo pregiudica ulteriormente l'equilibrio finanziario della regione Abruzzo, ma finisce anche per alterare in modo ancor più grave le disfunzioni accertate per gli anni precedenti, in violazione dei parametri costituzionali: l’illegittimità del Rendiconto 2013 deriva, quindi, dalla sua non conformità ai principi fondamentali anche in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici”. Un giudizio, quello del governo, che non lascia margini di interpretazione. E che se dovesse essere fatto proprio dalla Corte costituzionale aprirebbe uno scenario apocalittico.
Per questo l’altro giorno, l’8 agosto, la Giunta ha cercato di correre ai ripari adeguando la legge regionale approvata solo a marzo “ai rilievi formulati dalla Corte costituzionale con sentenza del 22 marzo 2017 e alle motivazioni sottese al provvedimento di impugnazione da parte del Governo, intervenuto in data 19 marzo 2017, anche sulla base della pronuncia della Corte dei Conti nel giudizio di parificazione del Rendiconto generale 2013”.
Un lavoro complesso per mettere la parola fine al contenzioso con i massimi vertici dell’amministrazione statale prima che la Corte costituzionale torni a pronunciarsi. Si è proceduto anche ad una revisione del riaccertamento dei residui attivi, passivi e perenti e ad un ricalcolo delle economie vincolate che ha consentito di mettere nero su bianco la quantificazione del disavanzo: 737 milioni 919 mila 595 euro, che tiene conto anche dell'accantonamento per la previsione dell'anticipazione di liquidità (ex Dl 35/2013) pari a 174 milioni 9 mila euro e della reiscrizione dei 61,8 milioni di euro di economie riprogrammate. Su cui la Corte dei Conti aveva molto insistito, inutilmente.
Speriamo, per il bene dell’Abruzzo che basti. Lo dirà la Consulta nei primi mesi del 2018. A ridosso delle elezioni per rinnovare il Parlamento.