Perché l'Abruzzo suona la nota stonata nel concerto leghista dopo le europee?
Il 34,3% ottenuto su base nazionale ha fruttato ben ventotto eletti, grazie a più di nove milioni di voti, anche se Renato Mannehimer oggi sul Giornale li definisce volatili. In Abruzzo è andata anche meglio con il 35,3% corrispondente a duecentocinquemila voti. Per avere un'idea dell'impatto dirompente del salviniani, è sufficiente guardare al distacco inflitto ai secondi classificati: il M5s in Abuzzo raccoglie 130mila voti con il 22,4%.
Tutto bene dunque? Quasi. Se non fosse che la base dei dirigenti regionali leghisti, come è noto da alcuni giorni, guidati dal neo commissario pugliese Luigi D'Eramo lamenta il fatto di non essere riusciti ad eleggere all'europarlamento un candidato abruzzese e per questo hanno puntato il dito contro il coordinatore regionale, Giuseppe Bellachioma.
Al di là di come il malessere sia filtrato da una chat di partito (ci sta, nella post modernità 2.0 e la stampa per fortuna ha ancora libero diritto di tribuna) l'intera vicenda fa riflettere non poco, perché proprio nel momento di maggiore splendore della Lega, con gli equilibri in seno alla maggioranza giallo-verde che sono stati stravolti, ecco il caso abruzzese a “rovinare” il taglio della torta.
Era proprio il caso di distinguersi così? Ce lo chiediamo, con garbo, da queste colonne che hanno visto in passato molte critiche di merito (e mai personali) rivolte al modus operandi del Pd guidato da Luciano D'Alfonso (precisazione utile per una questione di onestà intellettuale).
Sarebbe utile che, alla luce della performances ottenuta e della relativa grossa dose di fiducia che gli elettori hanno riposto in quel partito, chi di dovere offra ai cittadini una risposta seria e credibile. Se di veleni si tratta, allora che si spurghino nelle chiuse stanze di una segreteria, con una sana litigata che però poi curi il malessere e lo estirpi.
Ma se c'è qualche dato politico significativo che si somma a dialettica e ad attriti personali, allora una classe dirigente nuova e illuminata ha il dovere morale di mettere tutto in chiaro. Non fosse altro perché è appena giunta al potere e non può fornire (già) l'immagine di una nomenklatura spaccata in fazioni pronte a darsele alla prima occasione.
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