Tutti i rischi del nuovo odio di classe all'italiana


Un clima barbaro che sa tanto di presa della Bastiglia, mentre occorrerebbe una nuova rivoluzione industriale all'inglese


di Francesco De Palo
Categoria: Editoriale
02/06/2019 alle ore 15:58



Una guerra civile innescata, probabilmente, da chi non ha davvero idea di come si amministri un Paese e lo porti a competere realmente con gli altri, affrontando seriamente le nuove sfide della modernità. Ecco il quadro che affresca l'Italia di oggi, dove spicca un nuovo odio di classe: come un ciclope che ha come unico obiettivo del suo unico occhio non la sua stessa sopravvivenza, ma un nemico da impallinare quotidianamente.

Il tutto condito dall'ipocrisia di chi annuncia misure di sistema contro le auto blu, gli stipendi dei potenti, le concessioni autostradali, ma poi stringi-stringi mostra il suo vero volto: un foglio bianco.

E'la sindrome di chi cerca la colpa negli altri perché non sa cosa altro fare e punta il dito contro le pensioni d'oro, le multinazionali, i rom, il padrone d'impresa, i sette potenti del mondo, gli americani, i russi, i cinesi e via discorrendo. Dimenticando (perché fa comodo) che se l'Italia sta riuscendo nell'ardua impresa di fare peggio della Grecia, come tutte le classifiche dimostrano, non è colpa di Goldman Sachs, dell'Ue o dei dazi Usa: ma del fatto che non è stata capace di costruire risposte credibili ai nuovi problemi che le società e il mondo devono affrontare.

E il vecchio scontro ideologico non c'entra stavolta, anzi, magari ci fosse davvero quello che tra le altre cose Antonio Padellaro racconta nel suo bel libro “Il gesto di Almirante e Berlinguer”: altri tempi e altri uomini. Oggi il buio e alcuni esempi possono aiutare, meglio di mille assunti ideologici.

Se si deve procedere ad una spending review per eliminare giustamente gli sprechi è un conto, ma se poi questa mannaia si trasforma in una tragica assenza di forza lavoro in comparti strategici come la sanità, scuola e la giustizia, vuol dire che si sta sbagliando tutto per via di una ignoranza abissale.

Se si cuce la politica estera come una tela buona solo per una stagione e senza una visione strategica che abbracci le immense trasformazioni che si stanno verificando nel Mediterraneo, significa che non si ha la benché minima idea del fatto che il dossier energetico è il nuovo Klondike che ne determinerà gli sviluppi del prossimo cinquantennio: se ne sono accorti Egitto, Israele, Grecia, Cipro, Turchia, Albania, Bulgaria. Non l'Italia.

Se si fanno uscite infelici contro fucili e forze dell'ordine, ma poi non si svolge un ruolo diplomatico all'altezza in Libia, dove l'Italia dovrebbe essere lì a dare le carte, non ci si può dolere se poi Parigi e Berlino si spartiscono le influenze in Cirenaica e Tripolitania.

Se si aizza chi, in questo momento, versa in notevoli difficoltà, come in questi giorni i dipendenti delle aziende fallite o come chi per curarsi deve ancora sobbarcarsi viaggi della speranza perché la stessa siringa non costa lo stesso a Palermo e Verona, ma poi non si investe un euro per sostituire quei medici che andranno in pensione, si sta imbrogliando sulla cosa più importante che c'è: la salute (presente e futura).

E allora sarebbe il caso di riflettere attentamente su ciò che culturalmente sta accadendo a questo Paese, dove si cerchia in rosso ogni giorno un nemico diverso, mentre nel dopoguerra si assisteva ad un panorama diverso. Chi aveva di meno guardava a chi aveva di più come ad un esempio, per avere lo stimolo a fare meglio e a tentare di migliorare il proprio status. E la politica svolgeva il ruolo di grande saggio per accompagnare la ricostruzione.

Oggi invece da quella politica che non sa mettere insieme istanze reali e azioni proporzionali, arriva il dito puntato contro un nemico, fomentando quell'odio di classe che sa tanto di presa della Bastiglia. Mentre all'Italia occorrerebbe una nuova rivoluzione industriale all'inglese per sanare (una volta per tutte) i propri difetti.

 

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