Ultimamente mi capita di commentare assieme ad amici e conoscenti questa o quella sentenza su vicende di cronaca più o meno note. In genere, la discussione finisce inevitabilmente per contrapporre due opposte visioni: quella “giuridica”, secondo la quale l'applicazione del diritto deve avere riguardo soltanto alla legge, nonostante il rischio di decisioni inique o poco comprensibili; e quella “popolare” che vorrebbe l'istituzione di un “Tribunale dei cittadini” che faccia giustizia in maniera sbrigativa e sommaria (almeno rispetto ai reati di maggiore allarme sociale), senza indulgere in formalismi o cavilli.
Di rado intervengo per esprimere il mio pensiero, e non certo per non correre il pericolo di ingraziarmi una fazione a dispetto dell'altra, quanto piuttosto perché il diritto non è (ed è questo l'aspetto più difficile da spiegare) una scienza esatta come la matematica, poiché la norma rappresenta la cornice entro la quale il pittore (ossia il giudice) deve applicare la legge.
Uno degli argomenti che sembra non trovare pace, neppure tra i magistrati della Corte di Cassazione è quello relativo ai criteri da seguire per la determinazione dell'assegno di divorzio. In attesa che intervenga il Parlamento per mettere la parola “fine” a questa storia infinita, disciplinando la materia attraverso criteri di calcolo oggettivi, i Supremi Giudici emettono l'ennesima decisone per cercare di fare un pò di chiarezza (per chi fosse interessato: Cass. Civ., ordinanza n. 11178 del 24.04.2019).
Nel recente passato, la Corte di Cassazione ha già precisato quali sono i presupposti perché il coniuge economicamente più debole abbia diritto all'assegno di divorzio, essendo necessario che: abbia superato i 50 anni e non abbia più la possibilità di lavorare; abbia una condizione di salute che non consenta di lavorare a sufficienza per mantenersi; non abbia una formazione professionale o lavorativa tale da poter trovare un’occupazione oppure abbia dedicato tutta la propria vita, d’accordo con il marito, alla cura della famiglia, della casa e dei figli tanto da aver perso ogni contatto con il mondo del lavoro; abbia concretamente tentato di cercare un’assunzione, con richieste di colloqui, invii di “curriculum vitae”, iscrizione ai centri per l’impiego, partecipazione a bandi e concorsi, e ciò nonostante di non esservi riuscito per via della crisi occupazionale. Insomma, la sproporzione di reddito tra il proprio stipendio e quello del coniuge economicamente più forte non è più sufficiente.
Poiché l'assegno di divorzio deve salvaguardare i diritti del coniuge più disagiato, senza però diventare una mera prestazione assistenziale e parassitaria, secondo la Corte di Cassazione il giudice quantifica l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro dell’autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all’avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo apportato durante il matrimonio, senza far ricorso a criteri matematici prestabiliti.
Tutto chiaro? Non so a voi, ma a me sembra l'ennesima “supercazzola”.
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