Né politica, né ideologia: l'Isis è un'emergenza sicurezza. E va affrontata da professionisti


Ha ragione Angelo Panebianco sul Corriere della Sera a chiedere che i foreign fighters debbano essere trattati come criminali di guerra


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
21/08/2017 alle ore 11:08

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Sotterrare la clava ideologica della contrapposizione politica per capire, una volta per tutte, come l’Isis rappresenti un’emergenza sicurezza e non l’occasione per dibattere su temi secondari e ininfluenti. Le indagini sui fatti di Barcellona stanno scoperchiando il vaso di Pandora del fondamentalismo jihadista, che magari in troppi avevano sino ad oggi sottovalutato.

Ha ragione Angelo Panebianco sul Corriere della Sera a chiedere che i foreign fighters debbano essere trattati come criminali di guerra, perché di fatto lo sono e al di là delle motivazioni che li hanno spinti a diventare dei mercenari. L’idea di una FBI europea sarà utile nel frangente in cui si metteranno in comune conoscenze e know how, meno se diventerà l’ennesimo contenitore burocratico dove la mano destra non sa cosa fa quella sinistra. Ancora negli occhi ci sono gli svarioni delle forze di sicurezza belghe post attacchi di Bruxelles, con incertezze, errori, sottovalutazioni e veri e propri buchi neri in quella città che di fatto è una delle roccaforti europee dell’Isis.

L’elemento delle modalità di arruolamento è parimenti fondamentale per perimetrare raggio di azione e “forza lavoro” dei terroristi. Nel 2014 circa 2.500 cittadini tunisini cittadini hanno raggiunto la Siria e l’Iraq per unirsi alle cellule di addestramento dell’Isis, e moltissimi altri sono stati bloccati alla frontiera prima di riuscirvi. Un terreno fertile è proprio quello nato dalle ceneri della rivolta dei Gelsomini, che nel paese nord africano si è di fatto tramutata (anche per un sostegno troppo leggero da parte dell’Occidente) da grande opportunità di emancipazione a sacche di insoddisfazione che hanno poi foraggiato le truppe dell’Isis.

Le voglie di estremismo verso il Califfo e i suoi adepti hanno incoraggiato 18enni disoccupati e senza uno scopo. E’sufficiente ricordare che moltissimi tunisini under 30 conoscono almeno una persona che abbia oltrepassato il confine per combattere in Siria o Iraq. Dopo tre anni il ragionamento su fanatici, “operai” jihadisti e menti niente affatto malate ma lucide e molto organizzate, coinvolge gioco forza anche altre realtà di quella macro regione come il Marocco da cui provenivano i folli che hanno concepito i fatti di Barcellona. Senza dimenticare il capitolo dedicato agli Imam, che ribadisco senza alcuna clava ideologica va affrontato con onestà intellettuale e con pari professionismo legato alla sicurezza e alla fisiologica radicalizzazione.

In troppi dimenticano che l'imam, a Ripoll dal 2015, era uscito cinque anni fa dal carcere dove si trovavano jihadisti coinvolti nelle stragi di Madrid del 2004. E l’imbuto di Ceuta altro non è che un invito a nozze per quanti fanno del terrore e delle bombe l’unico scopo di vita. Nessuno vuole un’Europa militarizzata, dove persino i cani verranno perquisiti: ma di vite umane se ne sono perse fin troppe per continuare a governare questa vera e propria emergenza storica con il timone fatto di scarne proposte o farcito di tweet provocatori.

 Serve una sterzata, condotta da professionisti, così come fatto contro il terrorismo palestinese che colpì alle Olimpiadi di Monaco nel 1972.

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