Nei giorni scorsi il documento programmatico di Bilancio del governo italiano per il 2019 è stato rigettato definitivamente dalla Commissione Europea, che si è riservata di avviare una procedura per deficit eccessivo per violazione della regola del debito. Si tratta di una procedura che se l’Italia non riuscisse a riallineare i conti pubblici ai vincoli europei, potrebbe essere avviata già nella primavera del 2019. Ma in cosa consiste tale violazione?
Secondo l’art. 126 del trattato sul funzionamento dell’Ue, la procedura per deficit eccessivo scatta nei casi in cui viene ravvisata una violazione del criterio del deficit (rapporto deficit/Pil massimo 3%) oppure del criterio del debito pubblico, che deve ammontare a massimo il 60% del Pil. Nel caso del nostro Paese, il primo criterio è stato rispettato, mentre il secondo è stato violato in quanto il debito pubblico italiano supera il 130% del Pil.
La domanda sorge spontanea: a chi attribuire, se vi sono, le colpe della bocciatura di tale manovra? Colpa del sovranismo italiano o della destrutturazione dell’Ue? Per approfondire meglio la questione, Impaginato.it ha interpellato il presidente della Fondazione Einaudi Giuseppe Benedetto, il promotore di +Europa Piercamillo Falasca e il presidente del Movimento Nazionale Sovranità Roberto Menia.
GIUSEPPE BENEDETTO
“Il governo italiano ha deciso di presentare una manovra sapendo perfettamente che stava violando tutte le regole di un patto stabilito. I contratti possono piacere o non piacere, certo è che vanno rispettati fin quando non si disdicono…ora, o il Governo ha il coraggio di dire che il contratto con l’Europa è disdetto, quindi andiamo via dall’Europa (il che per me sarebbe una follia) oppure i contratti vanno rispettati e non a metà, come conviene, bensì rispettando gli impegni presi. Fatto sta che salutare l’Europa vorrebbe dire uscire dall’euro e avvicinarci non alla Grecia ma all’Argentina e forse al Venezuela, quindi ai peggiori scenari possibili. Personalmente sono europeista non per “amore” ma per convenienza (sorride, ndr). Credo che all’Italia convenga restare in Europa, perché uscire porterebbe conseguenze disastrose. Oggi l’Europa è uno Stato Sovranazionale in grado di competere con le altre potenze mondiali. Quando uso il termine “Stato sovranazionale”, in realtà uso un termine improprio. Che cos’è che manca all’Europa come anni fa dei fondatori avevano previsto? Manca il completamento del sistema statuale. Può esistere un Parlamento che non fa le leggi, un Governo che non è tale, un primo ministro che non viene eletto ma le conseguenze sono che all’Europa manca un “cappello”. Quando ci lamentiamo giustamente della burocrazia europea, di ciò che non funziona in Europa, la colpa è di chi non ha portato a termine il percorso di completamento delle istituzioni europee”.
ROBERTO MENIA
“È sintomatico che la Ue avrebbe bocciato la manovra italiana prima ancora che fosse comunicata e resa pubblica. È in atto, in tutta evidenza, un braccio di ferro tra Italia e Ue che mette in campo tutto quel che può, dallo spread alla minaccia di procedura d’infrazione e sanzioni...
Quel che è vero è che la politica dell’austerità ha fino ad oggi solo portato stagnazione e depressione, quindi vale la pena di scommettere su una spesa pubblica mirata a rimettere in circolo soldi e rilancio: certo, cum grano salis, privilegiando gli investimenti o attuando la Fiat tac, non certo il reddito di cittadinanza…”.
PIERCAMILLO FALASCA
“La manovra è stata bocciata dalla Commissione Europea per una ragione molto semplice: non rispetta il buon senso, le regole basilari non solo dell’economia pubblica ma anche dell’economia domestica e non rispetta i patti che noi, come Italia, abbiamo sottoscritto con gli altri Paesi con i quali condividiamo la moneta unica. Avere una moneta unica europea è un fatto di libertà, di tutela del nostro risparmio, del valore del nostro patrimonio, della nostra ricchezza, perché finalmente abbiamo una moneta che non viene erosa dall’inflazione, dalla svalutazione. Abbiamo una moneta che ci permette di essere protetti in un mondo globale che è attraversato da grandi potenze economiche, quali Cina, Stati Uniti ecc,, in cui la sola Italia non riuscirebbe a competere. Rispettare questo patto non è una gabbia ma una protezione che abbiamo volontariamente sottoscritto e che dobbiamo rispettare: “pacta sunt servanda” (cit. latino: i patti devono essere rispettati, ndr).Rispetto all’economia domestica, la questione è molto semplice: non si può pensare di approvare una manovra economica dicendo che sia per la crescita e il rilancio del Paese investendo 9 miliardi di euro all’anno per una misura di cui non si conoscono ancora i contorni come il reddito di cittadinanza (che sostanzialmente, regalerebbe un po’ di soldi alle persone per non lavorare o per lavorare in nero, senza nessun collegamento reale tra il suddetto reddito e le politiche attive per il lavoro, gli strumenti di contrasto della povertà) e d’altra parte, smantellare il sistema pensionistico italiano senza criterio.
La cosiddetta quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) è una misura di cui beneficerebbero solo pochi, soprattutto maschi del settore privato del Nord e un po’ di dipendenti pubblici. Sarebbe una misura di cui non potrebbe disporre, ad esempio, quasi nessuna donna, perché difficilmente le donne arrivano a 62 anni di età con 38 anni di contributi perché hanno avuto carriere più discontinue e a volte iniziate più tardi. Soprattutto, è una misura di cui non beneficerà praticamente nessuno nelle prossime generazioni perché, purtroppo, quasi nessuno può oggi vantare la possibilità di essere entrato nel mercato del lavoro a 24 anni e di rimanerci fino a 62 per maturare i famosi 38 anni.
Quindi è una manovra sbagliata nel merito perché non produce crescita, non produce lavoro, perché aumenta il debito per le generazione future e non fa rispettare all’Italia il patto volontariamente sottoscritto con gli altri condomini dell’Ue e dell’Eurozona. L’importanza di ridurre il debito pubblico ha a che fare con il tipo di Paese che vogliamo lasciare alle generazioni future. Noi, oggi, per onorare il macigno che abbiamo sulle spalle spendiamo circa 65 miliardi di euro all’anno. Sono gli stessi soldi che spendiamo per l’istruzione pubblica e abbiamo l’istruzione pubblica meno finanziata d’Europa in termini pro capite. Se avessimo meno interessi sul debito da pagare, potremmo investire più risorse pubbliche in investimenti, infrastrutture, istruzione, contrasto della povertà, promozione del lavoro e della famiglia. Questa è la ragione principale per cui è necessario compiere un processo di riduzione del debito. Non è una gabbia europea né non farlo è un tentativo di ribellione sovranista italiana: andiamo a sbattere se lo facciamo, perché se il debito pubblico italiano inizia a diventare insostenibile, gli investitori temeranno che noi, volendo ancora spendere, non restituiremo il prestito e non riusciremo più a ricollocare i titoli di stato di nuova emissione.
Credo che in questi ultimi giorni sia Salvini che Di Maio si siano resi conto che la macchina Italia da loro guidata con accelerazione al massimo sta andando verso il precipizio e semplicemente vorrebbero che fosse l’altro a frenare per dargli poi la colpa, insieme all’Europa, in caso si dovesse tornare al voto. È una corsa folle, un gioco al massacro di cui pagano le conseguenze gli italiani, i risparmiatori e le famiglie”.
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