L’intelligenza artificiale, ramo dell’informatica che progetta e sviluppa strumenti in grado di riprodurre la
percezione, il ragionamento, l’apprendimento e l’interazione dell’uomo riuscendo a risolvere con dati e
modelli problemi articolati, è già presente nella nostra quotidianità da diversi anni ma oggi sta permeando
in maniera più profonda molteplici aspetti della vita personale e aziendale, influenzando in modo sempre
più profondo la società.
Si tratta in realtà di una vera e propria rivoluzione industriale e culturale della quale si percepiscono tempi
di sviluppo e cambiamento vertiginosi, che potenzialmente potranno modificare gli assetti dell’intera
società, a partire dall’aumento della produttività.
La storia recente
La spinta decisiva all’innovazione è partita dagli Stati Uniti, territorio ove si riescono a legare l’attrattività di
talenti scientifici con l’attivazione e sponsorizzazione di iniziative che vengono trasformate in business.
La maggiore risonanza collettiva l’ha avuta la tecnologia sviluppata da Open Ai con Chat GPT: i più grandi
colossi informatici mondiali si sono attivati con la propria quota d’investimento (Microsoft, Google,
Amazon) ed a seguire altre grandi aziende si sono mosse in autonomia (Meta sviluppando un suo modello,
Apple lanciandosi in una serie di acquisizioni).
Una particolare posizione di mercato oggi è occupata da Nvidia, società produttrice di super chip che
servono per amplificare la velocità dei data center e che permettono l’addestramento dei modelli di
Intelligenza Artificiale per l’inferenza (la domanda e risposta a quesiti posti): nell’ultimo anno il titolo
azionario è salito del 273% mentre negli ultimi 5 anni, complessivamente, ha avuto un balzo del 2000%.
Criticità
Accompagnata in sottofondo dalla sindrome FOMO (Fear of missing out, il timore di restare fuori e indietro
da questo progresso vertiginoso), l’intelligenza artificiale pone dei problemi rilevanti nelle sue applicazioni.
L’approvvigionamento dei dati: i riferimenti ad individui e aziende vengono inseriti nel software e su questi
lo stesso si addestra: le conseguenze sono che privacy, delicatezza dei contenuti e diffondibilità dei risultati
e delle tecniche vanno adeguatamente monitorati, negoziati e contrattualizzati.
Impiego etico delle applicazioni e controllo umano: l’utilizzo deve necessariamente essere circoscritto da
valori etici, per cui i regolatori di ogni Paese devono stabilire modalità e approcci da seguire in modo da
rispettare e porre l’individuo pienamente avanti all’operatività del software, sia in termini di valori che in
termini di controllo tecnologico, con l’obiettivo finale di far restare la tecnologia al completo servizio
dell’uomo.
Realizzazione di una massa critica di enti di ricerca e trasferimento tecnologico, siti di sviluppo, onde evitare
predominio e monopoli tecnologici e commerciali, in grado di limitare l’operatività, bloccare le libertà e
finanche vincolare le democrazie di ogni Paese.
Realizzazione di economie di scala nella diffusione dei sistemi e delle tecnologie, in modo da rendere
l’approccio il più democratico possibile.
Sviluppi incrociati della tecnologia sono necessari perché la contaminazione tecnologica tra un campo e
l’altro farà in modo che nessun ambiente si scoraggi rispetto all’uso dell’intelligenza artificiale ed anche
perché i legami potranno rivelarsi fondamentali in caso si renda necessaria una capacità reattiva di fronte a
sviluppi imprevisti.
Criticità in Italia
Scarsità di finanziamenti pubblici: rispetto alle economie più grandi dell’Unione Europea, nel nostro Paese
ci sono minori finanziamenti, e mancano altresì strategia e visione che ci permettano di confrontarci con i
più grandi competitors. Nei prossimi mesi saranno adottati soli due Fondi: il Fondo per il venture capital, di
150 milioni, cofinanziato dal Dipartimento per il digitale e l’Agenzia per la cyber security, oltre ad un Fondo
di Cassa Depositi e prestiti Venture Capital di 1 miliardo per sostenere i progetti delle imprese. In generale
resta fondamentale convogliare gli investimenti sugli spin off di iniziative accademiche o dei centri di
ricerca, in modo da dare impulso immediato affinché l’Intelligenza artificiale si tramuti in una leva
determinante per la produttività del Paese, rendendo così questo sistema un volano per la crescita.
Bassa attrattiva per i ricercatori, in virtù del fatto che gli Enti di ricerca devono rispettare gli stessi parametri
salariali del resto della Pubblica Amministrazione: il Paese dovrebbe attivare misure per trattenere ed
attrarre talenti del campo.
La bassa attrattiva si confronta comunque con una importante rete di trasferimento tecnologico che
dovrebbe avere maggiore spinta: gli Hub digitali promossi da Confindustria, i punti Impresa digitale
promossi dalle Camere di Commercio, i centri di competenza ad alta specializzazione promossi dal
Ministero dello Sviluppo Economico, oltre all’eccellenza rappresentata dal Dottorato in Intelligenza
artificiale PHD-AI.it, ritenuto uno dei più importanti corsi in materia a livello europeo.
Limitatezza finanziamenti privati, a causa soprattutto delle ridotte dimensioni delle imprese italiane. Dal
comunicato Istat del dicembre 2023 il Digital Intensity Index indica che che solo il 5% delle imprese italiane
con più di 10 dipendenti utilizza almeno una delle 7 tecnologie di intelligenza artificiale, percentuale che
sale solo al 24% per le imprese con più di 250 addetti.
Formazione
La forte accelerazione tecnologica produrrà inevitabilmente un’importantissima rivoluzione nel mercato del
lavoro: gli italiani avranno presto bisogno di un sistema organizzato di reskilling e l’intero capitale umano,
indipendentemente dalla natura della professione, dovrà poter usufruire in prima persona dei benefici
portati dall’intelligenza artificiale: la contaminazione tra materie e settori sarà il plus che permetterà ad
intere generazioni di non “restare indietro”. E’ la stessa pervasività dell’IA che richiede la maggiore diversità
possibile tra quanti la addestreranno.
In Italia vi è, peraltro, carenza di alfabetizzazione digitale di base, e questa è una delle precondizioni di base
per poter introdurre efficacemente l’intelligenza artificiale.
Il punto focale inoltre non sarà soltanto la capacità di formulare la domanda al sistema di intelligenza ma
anche saper identificare, analizzare e delineare i confini di ogni problema che verrà sottoposto: è per
questo che la formazione richiederà un approccio strutturato e globale da parte delle Istituzioni.
Oggi c’è ancora un breve lasso di tempo nel quale l’intelligenza artificiale seguirà un percorso graduale di
inserimento nei sistemi aziendali: è in quel tempo che l’Esecutivo dovrà guidare la formazione dei lavoratori
verso i nuovi compiti che li attendono.
Normativa
Parlamento e Consiglio Europeo hanno recentemente raggiunto un accordo su un testo di regolamento
dell’intelligenza artificiale ed è stato emanato l’AI Act, il primo atto normativo sull’intelligenza artificiale: un
insieme di regole che rendono l’Unione Europea primo precursore a garantire che l’uso dell’IA non violi le
sue stesse leggi ed i suoi valori fondamentali.
L’obiettivo è quello di creare un mercato digitale europeo nel quale vengano assicurati il rispetto e la
centralità della persona, tutelando i diritti umani ed i valori comuni europei. Alcuni sistemi verranno vietati,
mentre altri, definiti ad alto rischio, saranno valutati sulla base dell’impatto che andrebbero a produrre sul
piano etico e giuridico.
In linea generale sarà comunque necessaria una regolamentazione non troppo disomogenea tra i Paesi del
G7, non troppo pesante, perché potrebbe rivelarsi un ostacolo per lo sviluppo delle aziende e per l’ingresso
delle start up, rispettosa dei diritti umani ed atta a non scoraggiare nessuno dei potenziali attori del futuro.