Il referendum, che ovviamente non risolve alcuno dei problemi degli italiani, vede perciò tutti vincenti e contenti.
Giulivo Di Maio, gongola Zingaretti, ma festeggiano pure Salvini e Meloni. Giggino però eccede. In piena isteria autocelebrativa, scrive che adesso ci sarà un Parlamento con “345 poltrone e privilegi di meno”. Glielo spiegheranno mai che, così dicendo, per azzerare del tutto “poltrone e privilegi” bisognerebbe cassare i restanti 600 parlamentari? Chissà.
Apparati e presunzioni sono invece la cifra del voto regionale. Finisce tre a tre, non considerando la Valle d’Aosta (Lega primo partito!) ed evidenziando che in Liguria, unica regione dove si presentavano insieme, i giallorossi prendono una scoppola clamorosa col trionfo di Toti e la netta sconfitta del “travagliato” Sansa.
Sconfitta che naturalmente è sempre orfana di padre e di madre perché il Pd zingarettiano glissa e subito esulta per averla svangata con Giani in Toscana e con Emiliano in Puglia.
La prima, in verità, è l’ennesima vittoria degli apparati, delle clientele e delle tante Misericordie. La seconda è tutta farina macinata dal gaudente “populista” barese, che non è di sinistra (come non lo è De Luca in Campania!), che è stato capace di mettere insieme tutto e il suo contrario e ottenere pure il voto disgiunto da quanti non hanno giudicato credibile la ricandidatura di Raffaele Fitto.
Apparati piddini che non sono riusciti a conservare le Marche, passate al centrodestra grazie al volto davvero nuovo e spendibile di Francesco Aquaroli. Fatto quest’ultimo che rimanda dritti allo schiaffo rifilato dai pugliesi alla signora Meloni (e ai suoi celebrati consiglieri!) per la presunzione dimostrata con l’impuntatura su Fitto che compromesso una vittoria scontata. Morale della storia: se non hai a disposizione un Pinuccio Tatarella e dici di rappresentare il nuovo non puoi riproporre una minestra riscaldata!