Solo il civismo può trainare il Pd nel futuro


Non chiamatelo più centro-sinistra: il copione di Zingaretti (per ora) torna al passato


di Paolo Falliro
Categoria: ABRUZZO
18/03/2019 alle ore 08:47



Che cosa cambia nel campo democratico dopo l'investitura ufficiale del neo segretario Nicola Zingaretti? Che il copione da seguire sarà in netta discontinuità con il Nazareno renziano. Cambierà tutto, ha annunciato Zingaretti e non poteva che essere fisiologicamente così, con i pro e i contro. Ma almeno per adesso non chiamatelo più centro-sinistra, perché sarà oggettivamente solo sinistra in versione Pds (senza il centro).

La cerniera ideologico-valoriale con il sindacato post Camusso, il ritorno nei luoghi simbolo, la caccia alle streghe salviniane (quindi immigrazione, inclusione e rapporto con la Cei), l'idea di una segreteria che parta dalle regioni per confluire a Roma. E ovviamente una nuova sede più “sezione” che loft.

Un vestito nuovo ma già indossato che, legittimamente, il segretario ha ordinato al suo sarto di fiducia, per due motivi di fondo. Il primo è che intende coprire il buco creato da Renzi. L'ex premier nella sua svolta liberal-centrista aveva messo un punto con le dinamiche tutte interne partendo da una disarticolazione con la Cgil e finendo alla costruzione di un contenitore che aveva scontentato la sinistra, che aveva scelto la strada della scissione. Scissione che oggi Zingaretti vorrebbe ricomporre, come testimoniano le interlocuzioni con Bersani, Civati, Grasso, vendoliani.

Il punto è che se da un lato questa mossa consente di recuperare quella parte della platea dem che non aveva digerito il pasto renziano, dall'altro lascia scoperto un altro fronte corposo, quello dei centro-lib che per una serie di ragioni non guardano a Salvini. E che si rifugiano nel non voto o nella debole speranza che il M5s cambi registro.

Se Zingaretti vorrà ampliarsi, non solo a sinistra, creando il modello di dem a stelle e strisce che resista oltre leaders e inner circles, ha dinanzi a sé un'unica strada, che si chiama civismo.

Lo ha osservato qualche giorno fa il banchiere Pellegrino Capaldo, animatore dell'associzione Libertà e Conoscenza, secondo cui all'Italia che ha bisogno di una “sana restaurazione” non può mancare quel passaggio che crea cultura politica. Non fosse altro perché quando la parentesi medievale tutta algoritmi e Pravda si avvierà a chiudersi, occorrerà tornare all'humus politico.

E la cultura politica oggi trova una sua preziosa linfa in quei territori che la politica degli ultimi vent'anni ha mortificato con scelte dettate dall'alto, con candidature dal sapore solo romano, con strumentalizzazioni dalla guida elettorale o da virate nel dimenticatoio (come le mille emergenze d'Abruzzo, che nessuno ormai ricorda).

Se il Pd saprà farsi guidare dal civismo, senza scimmiottare come troppo spesso accaduto, leaders stranieri, ma declinando una nuova pagina all'italiana, potrà essere di nuovo dem. Contrariamente, e legittimamente intendiamoci, si tradurrà il un nuovo Pds: rispettabile ma non futuribile, perché lascerà fuori dalla partita un player, il giocatore liberal-repubblicano, che non si riconosce nell'altro versante della barricata. E che deciderà di non votare.

 

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