La Versione di Garpez: si fa presto a dire "fallito"


Per fare impresa servono prima di tutto inclinazione e talento


di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
18/03/2019 alle ore 08:04



Sono convinto che per fare impresa occorra una particolare inclinazione. Un determinato talento. E poi è necessario avere una squadra. Persone fidate, anche una manciata, ma su cui poter mettere la mano sul fuoco. E poi bisogna avere coraggio. Coraggio di provare, di sperimentare, di inseguire il sogno di realizzare quel progetto così a lungo cullato.

Lo Stato dovrebbe essere a fianco dell'imprenditore, aiutandolo a superare le inevitabili difficoltà economiche iniziali, quando l'investimento risulta inevitabilmente maggiore del guadagno. Lo Stato dovrebbe applicare imposte minime sul lavoro e sul salario, agevolare detrazioni, dare ossigeno ad un polmone che potrebbe essere il volano di altrettanti posti di lavoro, creando occupazione.

Ed invece lo Stato è spesso impietoso, intransigente, esoso. E quando l'impresa proprio non ce la fa più a tirare avanti, gli viene chiesto di mandare tutti a casa, di gettare nella disperazione intere famiglie, dichiarando il fallimento di quel sogno.

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo del Nuovo Codice della Crisi D’impresa e dell’insolvenza si completa l’iter formale per l’attuazione di una riforma che, tra le importanti novità, cancella la parola fallimento ed introduce una terminologia meno penalizzante per gli imprenditori.

Staremo a vedere.

Ma intanto, l'imprenditore non solo deve assistere alla morte del suo progetto, ma rischia anche di vedersi citare innanzi il Tribunale penale per rispondere di bancarotta, consistente in genere nella sottrazione del proprio patrimonio alle pretese dei creditori. Il termine deriva dall'uso di epoca medievale di rompere il tavolo e la panca o cassa di legno del banchiere divenuto insolvente.

Oltre al danno la beffa, perché la responsabilità penale dell'imprenditore spesso si risolve nell'accettazione acritica e cieca di quanto dichiarato dal curatore fallimentare nominato, in sede civile, dal Giudice Delegato a seguito della sentenza dichiarava di fallimento.

Il curatore non è né un Giudice, né un Pubblico Ministero, ma solo un professionista – Avvocato o Commercialista – incaricato di fotografare la storia dell'impresa, dalla nascita sino alla morte, individuando eventuali pagamenti o spostamenti di denaro sospetti, che potrebbero dare luogo a responsabilità penale. Nulla di più.

La relazione sottoscritta dal curatore non è la bibbia, ma solo un documento che deve essere attentamente valutato dal Giudice penale, assieme ad altri elementi, per evitare condanne sbrigative o superficiali e rischiare di applicare pene accessorie che potrebbero portare all’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e l’incapacità ad esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa fino a dieci anni.

Andateci piano.

 

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