Abruzzo, ecco la regione laboratorio


Mica è un caso che Matteo Salvini abbia cominciato proprio da qui, investendoci due giorni, e Di Maio abbia rilanciato


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
10/01/2019 alle ore 09:14



Un test, di quelli veri, autentici. Tocca all’Abruzzo, come sempre. Saranno una cartina al tornasole le elezioni del prossimo e ormai vicinissimo 10 febbraio, non solo per l’Abruzzo ma anche per il resto del Paese. 

Mica è un caso che Matteo Salvini abbia cominciato proprio da qui, investendoci due giorni, e Di Maio abbia rilanciato sovrapponendosi al leader leghista in un mal riuscito tentativo di rubargli la scena. No, non è un caso. Non solo per la neve, che si mette di traverso alla raccolta delle firme e forse, chissà, impedirà a tantissimi elettori dell’entroterra di recarsi alle urne.

E passi pure che Salvini nel suo candidato presidente Marco Marsilio non ci creda neppure un po’ (sennò non lo avrebbe lasciato in panchina a rosicare fino alla vigilia di Natale) mentre Luigi Di Maio punta tutto sul sorriso smagliante ma poco convincente di Saretta Marcozzi.

I sondaggi dicono che la Lega cresce ma non più come una volta, che i Pentastellati schiacciati da Salvini accusano un crollo piuttosto forte e che il Pd è in crisi irreversibile e da quel catastrofico 4 marzo non si è fatto neppure un esame di coscienza. Insomma, l’Abruzzo sarà il primo vero test dell’era sovranista. Un test per l’Italia, per il governo gialloverde ma anche per il centrosinistra.

Si riparte dal 4 marzo, ma lo scenario in questi mesi è un po’ cambiato. Quanto, lo scopriremo tra un mese.

I sondaggi misurano umori e passioni, pesano il gradimento delle coalizioni, ma non riescono ancora bene a decifrare quanto incidano, in più o in meno, i tre candidati alla presidenza. Quindi al momento, dicono gli esperti, lasciano il tempo che trovano. In pratica l’analisi della pancia abruzzese registra che, come rilevava l’Huffington post qualche giorno fa, il centrosinistra è tornato in partita, e che invece tra i Pentastellati c’è un po’ di allarme. Salvini, dal canto suo, è più attento al risultato della Lega e a cannibalizzare il centrodestra che a Marsilio e alla sua vittoria.

Lo ha dimostrato durante la sua visita in Abruzzo, d’altronde, con Marsilio ridotto al ruolo di una specie di stalker costretto a braccarlo per farsi immortalare con lui. E ora, come se non bastasse, l’uscita di scena di Fabrizio Di Stefano: e chissà come si disperderà il suo portafoglio di voti.

Insomma, dal 4 marzo molte, moltissime cose sono cambiate: i rapporti di forza nel centrodestra prima di tutto, dove spicca una Lega che si comporta da padrona anche in Abruzzo (e qui i temi immigrati e razzismo sono meno sentiti), con Forza Italia che è quasi scomparsa dalla campagna elettorale (con Martino e Paganoplacidamente in vacanza in montagna durante le feste di Natale: modo subliminale per dire che si impegneranno per guadagnarsi una sufficienza scarsa e niente più e d’altronde il loro disimpegno lo avevano minacciato quando era ancora in forse il nome del candidato presidente).

E poi il successo non più planetario dei 5 stelle in Abruzzo dovrà fare i conti con un nuovo ostacolo: dopo le Regionarie annullate e poi rifatte da capo (con la sparizione del nome di Pietro Smargiassi, la sua minaccia di voltare le spalle al movimento e la sua riammissione in lista, così, senza spiegare né il prima né il dopo), e la rinuncia di Domenico Pettinari, vincitore delle Primarie che cavallerescamente lascia il posto a Sara Marcozzi, i grillini presentano le loro liste con due grossi buchi neri. Ieri la presentazione a Pescara, ma mancano all’appello due nomi, quelli di Claudio Della Figliola e di Attilio Falchi.

Falchi, per esempio, è stato candidato alla Regione fino alle 12.44 del 17 dicembre scorso. Poi è scomparso dalle liste, nonostante sia stato votato dalla piattaforma Rousseau. Come spiegazione, ha ricevuto una mail del collegio dei Probiviri in cui gli veniva comunicata l’apertura di un procedimento a suo carico per essere “un massone dell’Ordine di San Giorgio”.

Che però, assicura Falchi, di massonico non ha nulla, perché “è un soggetto di diritto canonico di secolare tradizione che si occupa di filantropia e beneficenza”.

Quindi lo scontento attraversa gran parte del movimento come una scarica elettrica, convinto che ci sia una specie di elite che comanda, circondata da una schiera di fedeli adoratori. Il resto fuori. E se i gesti contano più delle parole, spiegano i sondaggisti, è un segnale preoccupante per i 5 stelle che la Marcozzi (che tra l’altro ha fatto pratica legale proprio nello studio di Giovanni Legnini), si candidi a Chieti anche come consigliere semplice, così come ha fatto la scorsa volta, per non correre il rischio di rimanere fuori nel caso facesse terza alle prossime elezioni (come d’altronde è successo nel 2014). Un segnale da interpretare e che non fa bene all’ottimismo sbandierato dai grillini, e che è quasi meglio di un sondaggio.

La novità è invece la candidatura dell’ex vice presidente del Csm Giovanni Legnini, che correrà alla testa di sette liste civiche, senza simboli di partito. Le più difficili da pesare per i sondaggisti, che ragionano secondo le categorie presenti in Parlamento e che sfuggono al controllo degli addetti ai lavori. Ci sono, è vero, moltissimi ex della giunta D’Alfonso candidati nel Pd e in altre liste, ma lui assicura che governerà nel segno della discontinuità.

La frase scelta per il suo esordio d’altronde lascia ben sperare: “Non sarò l’uomo solo al comando”, e l’allusione è tutta per il suo eterno nemico Luciano D’Alfonso.

Un uomo pacato, mite, che riesce a cucire alleanze e a trascinare entusiasmi ma capace anche di no decisi. Che parte però da un gap pesantissimo a causa del fallimento della giunta precedente. Con lui correrà una coalizione varia, non più Pd-centrica, con sette liste civiche, di amministratori, di cattolici, una lista del presidente, con molti giovani e un’altra lista di moderati in fuga dal centrodestra come Mauro Di Dalmazio. Ci sarà anche il Pd, certo, ma non avrà un ruolo trainante, sarà una delle tante liste a suo sostegno.

Insomma, l’Abruzzo diventerà un laboratorio: la scommessa di Legnini è proprio questa, il suo modello potrebbe essere esportato fuori dai confini regionali, se riuscirà a imporsi con successo nella regione in cui è cresciuto. Sì, proprio un laboratorio: il cantiere civico che si è inventato Legnini, che ha mobilitato decine e decine di giovani e giovanissimi, abbinato a un’analisi anche spietata di ciò che è stato fatto (male), e a un approccio ragionato sui temi che stanno a cuore all’Abruzzo, senza mai usare toni violenti nei confronti degli avversari, e con una buona dose di umiltà rispetto all’arroganza usata dalla vecchia giunta di centrosinistra, forniscono un buon passaporto per la conquista della Regione.

ps: Questo è un dato che finora sfugge ai sondaggi e ai sondaggisti.

 

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