Biondi scalpita: grandi manovre a destra


Completamente indifferente a chi gli dice che non è proprio corretto, che non sta bene, che non si fa


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
02/10/2018 alle ore 10:00

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A tutti i costi. Scalpita tanto, tantissimo il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, completamente indifferente a chi gli dice che non è proprio corretto, che non sta bene, che non si fa, e che manco Luciano D’Alfonso ai tempi suoi lasciò il Comune di Pescara, ed era Pescara e non L’Aquila con tutti i suoi problemi di post-terremoto, ma niente da fare: lui vuole fare il candidato presidente del centrodestra alle prossime regionali, ad ogni costo.

Talmente deciso da sperare che la decisione del tavolo romano arrivi prima di venerdì, perché entro quella data scade il termine ultimo per le sue dimissioni da sindaco, ma anche oltre quella data lui non si darebbe per vinto.

Dicono i boatos aquilani che sarebbe addirittura disposto ad armare le truppe e a convincere i consiglieri comunali a dimettersi per causare una crisi politica e far saltare il Comune, in modo da potersi candidare alla Regione. Un’intenzione che gli stessi suoi concittadini non sembrano percepire come un disvalore, e a questo punto non si capisce se perché sperano di liberarsene o credono davvero che avere un presidente aquilano alla presidenza della Regione possa portare loro qualcosa.

Insomma, Biondi permettendo, i giochi sono ancora in alto mare. L’unica cosa certa è che non potrà essere lui il candidato governatore, perché anche la base di Fratelli d’Italia si rende conto che a quel punto riconquistare L’Aquila sarebbe difficilissimo, e la stessa corsa alla Regione non sarebbe più così blindata come appare oggi: Biondi è un candidato debole, che sta perdendo velocemente appeal anche in seguito alle sue brame politiche.

Senza contare che i consiglieri comunali, a partire da quelli di Fratelli d’Italia non sarebbero poi così pronti ad immolarsi sull’altare delle ambizioni del loro sindaco, mandando a carte quarantotto il Comune.

Il candidato ufficiale quindi non c’è ancora, anche se sotto traccia si agitano in tantissimi: a cominciare dall’uomo-comunicazione della Meloni, Michele Russo, sul quale però pesa il veto dei Fratelli che non lo considerano uomo politico e anzi lo vedono troppo vicino a D’Alfonso, e lo stesso imprenditore Paolo Primavera, prima leghista e ora meloniano (l’importante è la candidatura), mentre Fabrizio Di Stefano continua serafico la sua partita, sicuro di candidarsi a capo delle liste civiche comunque vadano le cose, anche a costo di spaccare il centrodestra.

Alla terna ufficiale presentata da Fratelli d’Italia (Morra, Biondi e Sigismondi) è stato aggiunto domenica sera Guerino Testa, consigliere comunale a Pescara.

E d’altronde il nome del candidato presidente non è ancora uscito in nessuna delle quattro regioni che Berlusconi, Meloni e Salvini si stanno dividendo: un paio di giorni fa il numero due di Forza Italia Antonio Tajani ha partecipato tra i filari delle Langhe alla vendemmia e pur precisando che “il nome dovrà deciderlo il centrodestra”, ha dato la sua benedizione ad Alberto Cirio:

“Alberto è un eccellente candidato, lo posso testimoniare”.

Quindi un’investitura ma non proprio ufficiale. In Abruzzo gli azzurri sperano fino all’ultimo in un cambio di mano, che magari la Meloni ceda l’Abruzzo in cambio della Basilicata, in modo da poter distribuire le carte in modo più convincente (anche se la segreta speranza di Nazario Pagano è quella di piazzare un suo candidato lasciando la scelta a Fdi, in modo da avere la prima opzione sul Comune di Pescara, dove sogna di far correre da sindaco Carlo Masci, al suo secondo tentativo).

Alla finestra per il momento resta il Pd, che un candidato non sa ancora dove andarlo a cercare ma che andrebbe in sollucheri se il centrodestra dovesse spaccarsi: Giovanni Legnini, terminato il suo impegno al Csm, è in partenza per una lunga vacanza di tre settimane, e non ha intenzione di dire una parola, nè sembra intenzionato a immolarsi sull’altare del Pd. Venerdì ci sarà una direzione, la prima dopo le dimissioni di Marco Rapino, con Renzo Di Sabatino alla sua prima uscita da segretario ff.

Una direzione preparata con telefonate, contatti, incontri ravvicinati: ma ancora tanta polvere dovrà uscire da sotto il tappeto e come nelle terapie psicanalitiche, bisognerà toccare il fondo prima di risalire.

 

ps: E l’impressione è che i democrat abbiano ancora tante, troppe cose da dirsi visto che occasioni di confronto dopo il 4 marzo non ce ne sono state più.

 

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