Morrone, brucia anche l'onore



di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
04/09/2017 alle ore 07:11



E alla fine è dovuta arrivare la pioggia per dare pace al Morrone. Quindici giorni ininterrotti di fuoco, diecimila ettari di boschi distrutti, la disperazione il terrore gli animali bruciati o in fuga, le case minacciate, i paesaggi inceneriti e spettrali, i luoghi sacri di Celestino profanati nei giorni della Perdonanza. E poi, sopra e tra le montagne, qualche Canadair, pochi elicotteri, tanti volontari e un ragazzo che rischia di rimetterci la vita. E due sindachesse: quella di Sulmona che dal mare di Puglia si arrabatta, non sa e non fa e minaccia di restituire la fascia e un’altra, quella di Pratola, che caparbia organizza le linee tagliafuoco fornendo l’unico vero contributo per domare il fuoco.

Al di là della montagna, le inutili passerelle a camicie di fuori e codazzi al seguito, i vertici un giorno sì e l’altro pure, gli insopportabili selfie le parole le chiacchiere gli annunci. E l’improvvisazione, l’inadeguatezza, la caduta dalle nuvole, i verbi coniugati al futuro quando il futuro è già passato. Sempre così. Oggi come sette mesi fa. Il terremoto, Rigopiano e poi gli incendi: le lezioni non insegnano nulla a questa classe dirigente roboante ed esibizionista, non insegnano l’importanza della prevenzione, la tutela dell’ambiente né il rispetto delle leggi o delle delibere approvate e firmate, meglio i ponti i nastri da tagliare i cavalcavia i Masterplan.
Come per Rigopiano, dopo la tragedia dopo il disastro, dopo che tutto è già irrimediabilmente accaduto, si corre disperati a mettere pezze a promettere rimedi a parlare di gare e di appalti che non guastano mai, e va a finire che alla fine ci esce pure qualche opera mirabolante da mettere in cantiere e poi fotografare e sbandierare su Feisbuk.

Sopralluogo su Morrone con cerimoniere al seguito

Certo, i piromani. E i criminali. E gli inneschi. E tutte e tre le cose. Ma i segnali c’erano tutti e le leggi pure.
E’ il 14 luglio scorso, un mese prima del Morrone, ma con qualche incendio che già minaccia l’Abruzzo, quando la Regione approva il piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi. In giunta ci sono D’Alfonso, Lolli, Paolucci, la Sclocco. La delibera ricorda che è stato dichiarato lo stato di “grave pericolosità di incendi boschivi dal primo luglio al 15 settembre 2017 per tutte le superfici boscate della regione Abruzzo” e che è stato deciso di riattivare presso la sede della Protezione civile all’Aquila, la Sala operativa unificata permanente, e che è stato garantito “il servizio di sorveglianza e avvistamento per la prevenzione degli incendi da terra a partire dal primo luglio con l’aiuto delle associazioni di volontariato, e sono stati anche approvati gli accordi con il Corpo nazionale dei vigili del fuoco”.
E’ una emergenza vera e propria, c’è l’allerta e c’è la consapevolezza, ma solo in quello che viene scritto nel piano, che il 2017 sarà un anno a rischio e anche un anno di sperimentazione per la prevenzione incendi a causa della riforma Madia che ha fatto confluire il Corpo forestale nei carabinieri. Però è tutto pronto, a sentire loro. Sembra un film già visto, ma purtroppo non lo è. Sembra di sentire il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco che pochi giorni prima della valanga di Rigopiano elencava tutti i mezzi pronti per intervenire in caso di neve.

“E’ tutto pronto – dice  infatti il presidente della Regione Luciano D’Alfonso il 26 giugno scorso – In Abruzzo possiamo contare su una eccezionale rete di organizzazioni di volontariato già convenzionate con la Regione e che dispongono di personale specificamente formato. Una task force dotata di 55 pickup con moduli antincendio, 4 elfo, autobotti e altri mezzi antincendio. In caso di episodi di particolare gravità, infine, entrerà in azione la flotta aerea nazionale, composta da 14 Canadair dei Vigili del fuoco, 7 elicotteri dei Vigili del fuoco, 2 della Marina militare e 2 dell’Esercito, che garantiscono l’intervento su tutto il territorio italiano”.

Qualcosa deve essere andato storto, anzi stortissimo, se poi due Canadair sono dovuti arrivare dal Marocco e altri due dalla Francia. Il 30 giugno Augusto De Santis di Legambiente aveva inviato esposti a tutte le procure abruzzesi per denunciare che l’Abruzzo era senza mezzi aerei antincendio. E lo stesso aveva fatto due mesi prima Fabrizio Curcio, all’epoca Capo della Protezione civile, che aveva redarguito duramente l’Abruzzo per lo stesso motivo. Era il 18 giugno, dopo la tragedia del Portogallo, Curcio lancia l’allarme anche in Italia: l’estate 2017 si preannuncia a rischio per caldo e siccità e anche perchè sei Regioni non hanno ancora mezzi aerei da utilizzare per spegnere le fiamme. Sei regioni, tra queste manco a dirlo, c’è l’Abruzzo.

Basterebbe questo, ma c’è di più. C’è la famosa lettera del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni del 13 giugno scorso, molto prima della catastrofe del Morrone:  “Attività antincendio per la stagione estiva 2017. Raccomandazione per un più efficace contrasto agli incendi boschivi” scriveva il premier ai presidenti di Regione compreso D’Alfonso per raccomandare l’adozione di mezzi di contrasto eccezionali per il rischio incendi incendi in virtù del caldo e della particolare siccità del 2017, soprattutto ora che il Corpo Forestale non c’è più. Tre pagine fitte di raccomandazioni. Che si sono rivelate completamente inutili.
E i ritardi. Dai primi giorni e dai primissimi giorni del fuoco, dalla Valle Peligna arrivano appelli disperati per fare intervenire l’esercito. Niente di niente: la Regione è in vacanza. Anche i Vigili puntano il dito contro l’ente pubblico:

“Se le Regioni avessero dato seguito agli adempimenti di legge in ambito di prevenzione contro gli incendi boschivi attraverso le convenzioni e gli accordi necessari, tutto poteva essere affrontato con maggiore efficacia”, dice la Fp Cgil dei Vigili del fuoco.

Sì, leggi e programmi completamenti dimenticati. Come la 353 del 2000, come la bozza del bando 8.3.1 del Psr (programma di sviluppo rurale) preparata e trasmessa dal funzionario della Regione e poi bloccata nel cassetto della Direzione politiche agricole della Regione Abruzzo per cause sconosciute. Come la Carta valanghe di Rigopiano, un destino che si ripete.

Uno dei tanti vertici sull’ incendio

Sì, i piromani. Sì, un disegno criminale che però non ha trovato né prevenzione né ostacoli davanti a sè.
L’inchiesta è nelle mani del capo della procura di Sulmona Giuseppe Bellelli. E dentro c’è di tutto. C’è l’ultimo dossier della Dia e ci sono le tentazioni da tenere a bada. Come il bando regionale che assegna 2 milioni di euro a fondo perduto anche ai conduttori privati di superfici forestali per interventi di risanamento. Il bando, nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale 2014/2020 della Regione Abruzzo, prevede tra gli interventi finanziati anche quelli relativi al rimboschimento per beneficiari privati proprietari di superfici Forestali.

“Una tentazione per i disonesti che si vedono mettere sul piatto un “bocconcino succulento” reso ancora più gustoso con la proroga al 17 settembre”, dice il consigliere regionale pentastellato Domenico Pettinari. “Un Paese serio, alla luce del disastro ambientale che si sta verificando in Abruzzo, dovrebbe evitare ogni tipo di tentazione per chi ambisce a facili e illeciti guadagni operando in questo modo”.

Sì, dovrebbe. Anche perchè il dossier della Direzione investigativa antimafia relativo al secondo semestre 2016 racconta un Abruzzo da brivido. Altro che isola felice. Racconta, come ha anticipato Newstown, che c’era un accordo tra calabresi e siciliani per spartirsi Abruzzo e Molise, con una presenza forte e operativa del gruppo Ferrazzo di Mesoraca, nel Crotonese, il cui capo ‘ndrina aveva scelto San Giacomo degli Schiavoni in provincia di Campobasso come residenza e aveva organizzato un’associazione criminale composta da calabresi e siciliani con la famiglia Marchese di Messina per il controllo del traffico degli stupefacenti tra San Salvo, Campomarino e Termoli.

Un sodalizio tra ‘ndrangheta e mafia siciliana nel sud dell’Abruzzo. Ma il dato rilevante è che per la prima volta la Dia parla di un’organica spartizione della “regione verde d’Europa” da parte di associazioni di criminalità organizzata (‘ndragheta e mafia), che addirittura si accordano per un maggiore controllo del territorio.
E il pensiero va agli appalti del dopo terremoto e ora agli ingenti fondi per il rimboschimento, che potrebbe essere un movente per gli incendi accesi nelle ultime settimane in diverse zone dell’Abruzzo interno.
E’ tempo di alzare la guardia, ora che il Morrone per fortuna non brucia più.
ps1: Sfortunata la regione in cui a fare business e quattrini sono solo furbetti e criminali
ps2: Sfortunata la terra che non impara dal passato.

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