Libia il polverone sul codice ong è come il metal detector a Gerusalemme


Chi non lo firma ha qualcosa da nascondere, come chi non gradisce controlli sulla spianata delle Moschee?


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
09/08/2017 alle ore 16:48

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“Puoi nascondere il tuo volto dietro ad un sorriso. Ma c’è una cosa che non puoi nascondere. È quando tu sei marcio dentro”. Le parole di John Lennon vengono spesso alla mente quando si affrontano i nodi della politica estera. A maggior ragione quando si parla di Libia, su cui la polvere gettata in aria da taluni serve forse a confondere ruoli e azioni, più che affrontare gli scogli per superarli una volta per tutte.

Sul merito del codice per le ong voluto dal ministro dell'Interno Marco Minniti si può argomentare, ma sulla sua opportunità un Paese civile, che si dice Stato, non può discutere. E invece molta stampa nostrana, ispirata da grossi interessi internazionali e intercontinentali ha addirittura usato termini degni di un film sui kapò, mentre invece il ragionamento principe che va fatto è: chi non ha timore della legge e della buona fede delle proprie azioni perché teme invece una semplice e logica regolamentazione?

Il caso del codice “da Minniti” fa il paio con le polemiche suscitate qualche settimana fa dalla decisione del governo Netanyahu di istallare metal detector sulla spianata delle Moschee a Gerusalemme. E non per un vizio o un capriccio, bensì per via degli attacchi da parte di uomini armati nei giorni precedenti. Come si è saggiamente interrogato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera dell'8 agosto scorso “le Ong sono e vogliono essere neutrali tra la legge e l’illegalità?”. Non è polemica politica o ideologica, come altre voci cercano con bramosìa, ma semplice voglia di riflettere a mente lucida e senza preconcetti.

Affrontare i temi della sicurezza nazionale non può essere un tema da far accompagnare a retaggi ideologici, ma semplicemente uno dei compiti del governo. Così come ha fatto il titolare del Viminale che, va ricordato, è molto esperto sul tema avendo gestito le deleghe ai servizi negli ultimi anni con buoni risultati. Ma ciò non sembra essere sufficiente a chi fa del terrorismo mediatico (e politico) sfoderando la xenofobia e il fascismo: due clave che non c'entrano nulla con la frittata libica, che va ascritta con onestà intellettuale alla foga delle bombe francesi e al solito decisionismo tedesco che ha imposto un inviato Onu non all'altezza.

Lecito chiedersi, a questo punto: è lesa maestà sul caos odierno chiedere conto ai due inviati Onu, Bernardino Leon e Martin Kobler? Che lavoro fanno oggi? Il diplomatico spagnolo, dopo essersi distinto per il nulla assoluto realizzato in Liba, due anni fa è diventato direttore generale della "Accademia diplomatica" degli Emirati, un think tank finanziato dallo Stato per promuovere la politica estera degli emirati ed addestrare i suoi diplomatici.

Una promozione che sollevò mille interrogativi circa la sua imparzialità nel condurre le trattative per la normalizzazione istituzionale della Libia: risultato che non è stato raggiunto neanche dal suo successore, il tedesco Kobler, capace grazie alla pressione di Berlino di superare altri pretendenti a quel ruolo, tra cui un nome italiano.

Il diplomatico tedesco, era stato a capo della missione umanitaria in Iraq (2011-2013), dopo essere stato vice inviato speciale in Afghanistan dal 2010 al 2011 ed ex capo di gabinetto dell’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer. Ma con la macro lacuna curriculare di non conoscere neanche un centimetro quadrato del dossier libico né del territorio dal quale, dopo due anni esatti, è stato esautorato dall'Onu.

Oggi il Palazzo di Vetro si è affidato a Ghassan Salamè, che dopo aver incontrato a Roma il Ministro degli Esteri Angelino Alfano, si è recato in visita “all'altra Farnesina”, ovvero la Comunità di Sant'Egidio. Come primo passo ha di certo confermato l'ambiguità dei suoi due predecessori.

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