Il liberismo che non c'è: replica a Melilla


Non sono stati incompresi solo i bisogni di chi vivendo nella povertà reclama un lavoro dignitoso, ma totalmente azzerati i meriti


di Jacopo D'Andreamatteo
Categoria: Punture di Spillo
09/10/2018 alle ore 19:00

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La lettura del contributo dell’On. Melilla, pubblicato su Impaginato qualche giorno fa, non può non far riflettere sulla dicotomia statalismo-liberalismo. Con la sua lunga militanza sindacale e politica, sempre e orgogliosamente a sinistra è certamente un punto di riferimento in Abruzzo e non solo.

Anche per questi motivi sono rimasto meravigliato dall’assenza di critica alcuna riguardo alle continue divisioni e conseguenti nascite di sigle, nel tentativo di riprendere l’ideologia che fece grande il partito comunista italiano. Le plurime scissioni hanno sicuramente indebolito l’elettorato e i simpatizzanti, trovatisi a dover afferrare la lente di ingrandimento per vedere e comprendere cosa mancasse nel proprio partito politico di riferimento.

Concordo sulla presenza di una certa sindrome in grado di oscurare gli occhi e la mente di molti, a partire dall’Esecutivo. Allo stesso modo grave è stata la crisi economica mondiale, causata da speculatori che nulla hanno a che vedere con le politiche liberiste.

Ma non sono stati incompresi solo i bisogni di chi vivendo nella povertà reclama e continua a farlo, un lavoro dignitoso e/o una forma di welfare in grado di sostenere economicamente il proprio nucleo familiare. Sono stati totalmente azzerati i meriti e l’unione merito e bisogno non è casuale, anche se dal 1982 è stato un tabù per tutta la sinistra, ad eccezione di una sola formazione politica.

Il merito è stato sostituito dall’invidia sociale, il livello di tassazione per i cittadini e le imprese ne è un chiaro segnale. La presunzione di voler controllare l’economia, così come nel periodo delle “partecipazioni statali”, non ha fatto che ostacolare, con tassazione e burocratizzazione sempre più complessa e arcigna, la nascita e la crescita delle attività produttive.

Quando si afferma la mancanza in Italia di grandi imprese in grado di dar lavoro a centinaia di migliaia di persone non si confermano i decenni di politiche sociali, impossibili da sostenere economicamente e che hanno contribuito all’innalzamento del debito e fatto fuggire sia gli imprenditori sia gli investitori?

La ricchezza non si crea dal nulla e senza di essa ci sarà sempre una distribuzione iniqua. Il liberalismo non ha nulla a che vedere con la situazione negativa del nostro Paese, semplicemente perché non esiste alcun partito liberale. Quando un partito si autodefinisce tale, nel momento in cui diviene maggioranza parlamentare, si trasforma in entità elettore-dipendente.

Per essa intendo chi dal primo giorno cerca di distribuire a destra e a manca (“80 euro”, “bonus cultura”, mega concorsi pubblici, reddito di cittadinanza…) per ingraziarsi gli elettori passati e futuri. L’elettorato è difatti divenuto liquido, facilmente trasferibile da un contenitore all’altro. L’importante è promettere l’irrealizzabile e come per magia i voti arrivano.

Con costi, in termini economici e sociali, maggiori per tutti.

 

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