Giovan Battista Boncori, Principe delle arti nella Roma del '600


Il pittore camplese che diresse l'Accademia di San Luca con il suo barocco equilibrato e moderato


di Valentina Coccia
Categoria: Incolta
04/07/2018 alle ore 15:22

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Un percorso di rivalutazione e valorizzazione della storia artistica abruzzese non può non passare attraverso una rilettura dell’opera di Giovan Battista Boncori, tra i pittori italiani più influenti del Seicento, noto nell’ambiente artistico del tempo ben oltre i confini regionali.

Nativo di Campli, abbandonò ben presto la città natale per ampliare la sua formazione artistica nei principali centri culturali. A narrarci le sue vicende sono Nicola Pio (“Le vite di pittori…,”, Roma 1724) e Lione Pascoli, che nelle sue “Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni” (Roma, 1736), fornisce gran parte delle notizie biografiche sul pittore.

Sappiamo dunque che dopo aver soggiornato a Bologna e Venezia, approdò a Roma, dove fu allievo di Pierfrancesco Mola, proseguendo poi il suo cammino lungo le vie dell’arte per diversi anni, dal 1665 al 1668, alla volta della Lombardia, poi di Parma, Ferrara, Cento, dove entrò in contatto con la cultura figurativa del grande Francesco Barbieri, detto il Guercino. 

La conferma delle sue immense doti pittoriche si ebbe al ritorno nella Capitale, quando divenne prima rettore (1679) e poi Principe (1680) della prestigiosa Accademia di San Luca.

E’ nei corridoi di questo istituto che le sorti artistiche marchigiane ed abruzzesi ebbero un felice incontro: il nostro scelse difatti come suo vicario il marchigiano Carlo Maratti, che fu subito costretto a succedergli a causa dell’improvvisa morte, avvenuta a soli due mesi di distanza, il 22 maggio del 1699. I due, accomunati da quel fare pittorico fatto di moderazione prospettica e cromatica, di compostezza, di uno stile in sintesi più contenuto rispetto alla sontuosità del barocco, influenzeranno notevolmente lo sviluppo delle arti nei rispettivi territori e di tale stile saranno pervase le opere degli allievi e dei seguaci operanti tra le Marche e l’Abruzzo, specie in quelle zone di confine tra l’ascolano ed il teramano, che risultano dunque unite da questa comune matrice.

Non è un caso che Boncori di Campli sia presente proprio ad Ascoli Piceno con una tela raffigurante una “Vergine col Bambino, santa Elisabetta, san Giovannino, san Vincenzo Ferreri e un bambino miracolato”, nella basilica di San Pietro Martire, edificio che fu fulcro delle vicende artistiche della città tra Seicento e Settecento.

Esigue sono le opere superstiti di questo artista che, riportano alcune fonti, avrebbe ricevuto numerose commissioni anche dalla Spagna e dall'Inghilterra; oltre all’appena citata pala ascolana, conosciamo gli affreschi realizzati nel 1678 per la chiesa di San Carlo al Corso a Roma (attestati da un mandato di pagamento rinvenuto degli archivi ecclesiastici), i disegni provenienti dall’Archivio dell’Accademia di San Luca, la tela che l’artista donò alla sua città natale, la “Presentazione della Vergine al tempio”, per anni conservata nella piccola Chiesa di Santa Maria della Misericordia e che, dopo il restauro, sarà finalmente esposta nel Museo Nazionale d’Arte Sacra di Campli, e pochi altri dipinti attribuiti.

La rinnovata attenzione per l’attività dell’artista è attestata anche dalla conferenza tenutasi lo scorso 17 dicembre proprio a Campli, dal titolo “Giovanni Battista Boncori. Un pittore illustre, da Campli alla Roma Barocca”, un incontro patrocinato dall’Amministrazione comunale e organizzato dall’Associazione Memoria & Progetto Onlus, che ha visto la partecipazione di Massimo Francucci, tra gli studiosi più autorevoli di Boncori, con la volontà di riportare la figura del pittore all’attenzione non solo degli appassionati di storia dell’arte e di beni culturali, ma dell’intera cittadinanza.

L’auspicio è quello che gli studi proseguano conducendo a nuove scoperte ed attribuzioni, ampliando così il catalogo di questo pittore, segnato dal medesimo triste destino di molti artisti coevi: l’arte del diciassettesimo e diciottesimo secolo godette difatti di scarsa considerazione rispetto a quella degli altri periodi e ciò fu sicuramente una delle conseguenze del discredito in cui l’intera stagione barocca fu tenuta dalla critica già dalla fine del Settecento, sino ai primi decenni del Novecento.

Una lacuna da colmare attraverso mirate ricerche, con l’obiettivo di ridare luce ad artisti che, partendo dall’Abruzzo, seppero imporsi per talento e qualità nei più prestigiosi ambienti culturali dell’epoca, nazionali ed europei.

 

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