Giorno della Memoria. 77 anni dopo: il racconto degli ultimi testimoni


Sono sempre meno i testimoni della Shoah, mantenere vive le storie è nostra responsabilità


di Elisa Leuzzo
Categoria: Agorà
27/01/2022 alle ore 18:27



Il Giorno della Memoria rappresenta un'occasione di riflessione e oggi, settantasette anni dopo la liberazione di Auschwitz, i testimoni della Shoah sono sempre di meno e si fa sempre più urgente interrogarsi su come trasmettere alle nuove generazione quello che è stato…per non dimenticare, per onorare e ricordare 6 milioni di ebrei, 1.000.000 di bambini e tutte le vittime dei nazisti, torturati e privati della dignità.

I sopravvissuti hanno affidato a noi la loro parola. L’hanno fatto tornando a raccontare il calvario e l'orrore centinaia se non migliaia di volte.

Mantenere vive le storie è nostra responsabilità

Nata nel 1930, nell’inverno del 1944 Liliana Segre fu costretta a salire su un camion che attraversava Milano per raggiungere i sotterranei della stazione Centrale e il binario 21, da dove partivano i treni per Auschwitz-Birkenau. Suo padre era con lei, ma non lo vedrà più. "Imparai in fretta - racconta la donna - che lager significava morte, fame, freddo, umiliazioni, torture, esperimenti".
Nel campo la superstite lavorava in una fabbrica di munizioni. Una volta una compagna, una ragazza francese di nome Janine, si era ferita gravemente a una mano. Mentre, durante la selezione, ne veniva decretata la condanna a morte immediata, Liliana Segre confessa di non essersi voltata: "Avrei voluto farlo, solidarizzare con Janine. Non lo feci. È un pensiero che mi tormenta sempre".
La sopravvissuta ha anche descritto più volte la cosiddetta "marcia della morte", durante la quale i prigionieri furono costretti a seguire i nazisti in fuga. Fino a quando questi ultimi si tolsero la divisa per nascondersi tra la popolazione civile. Una SS gettò a terra la sua pistola. La donna pensò: "Prendo l'arma e la uccido". Poi si bloccò. "No, non la prendo". E in quel momento, dice la Segre, "ha vinto la vita".

Ebreo nato a Salonicco nel 1927, fu arrestato ad Atene e deportato nell’aprile del 1944. Nel 2005, tornando ad Auschwitz per la cerimonia ufficiale del 27 gennaio, giorno della liberazione del campo di sterminio, Benjamin Kapon ha detto: "Uno può perdonare, un altro no. Io posso perdonare, ma con il cuore freddo". Racconta che una volta fu coinvolto con suo cugino, uno degli ebrei reclutati per trasportare i cadaveri al forno crematorio, nello scambio di qualche dente d'oro con altra merce, soprattutto pane. Vennero scoperti. Kapon porta ancora sul volto la cicatrice delle percosse subite. Il cugino fu ucciso. La più grande consolazione del sopravvissuto risiede nella famiglia creata dopo il ritorno. Kapon mostra le numerose foto dei suoi cari esposte nel salotto e commenta: "Sono la mia vita".

«Non c'è una ragione, la salvezza è arrivata per caso»

Quando, nel 1938, entrarono in vigore le leggi razziali, Goti Bauer aveva 14 anni e viveva a Fiume con i genitori e un fratello minore. La sua famiglia tentò di trovare riparo in Svizzera. Ma fu venduta ai fascisti e ai nazisti. Nel maggio del 1944 cominciò il viaggio verso Auschwitz, dove Goti sentì spesso ripetere la frase: "Durch den Kamin", da qui si esce solo attraverso il camino.
Nel lager Goti Bauer consolava le compagne deportate; tornata a casa, dopo la liberazione, è diventata la paladina della necessità di testimoniare. La superstite si è sposata subito dopo aver ottenuto la libertà. Il marito, scomparso nel 2002, aveva voluto farle un "regalo", offrendole di far cancellare il numero di matricola impresso a fuoco sul braccio. Una decisione che Goti accettò ma che oggi ritiene un errore: "Togliere il tatuaggio è stato inutile. Quel numero resta impresso nella nostra anima".

Le deportazioni da Salonicco, in Grecia, cominciarono a metà marzo del 1943. Una sola famiglia, per quanto si conosca, è arrivata ad Auschwitz-Birkenau ed è tornata a casa senza perdere alcuno dei suoi membri. È quella di Heinz Salvator Kounio, che quando fu preso dai nazisti aveva 15 anni. La popolazione ebraica, all'inizio delle deportazioni, era quasi la metà di quella dell'intera città di Salonicco. Dei 58.500 ebrei deportati, ne tornarono meno di 2.000. Tra questi, appunto, Heinz Kounio. La madre era un'askenazita cecoslovacca, il padre un fotografo, appartenente alla medio-alta borghesia sefardita di Salonicco. Kounio e i suoi familiari, tra i primi deportati, si salvarono perché conoscevano il tedesco, e quindi erano in grado di essere utili ai nazisti.
Kounio ha scritto un resoconto della prigionia: "A Liter of Soup and Sixty Grams of Bread" (un litro di zuppa e 60 grammi di pane), asciutta cronaca autobiografica sulla Shoah.

Non è soltanto il cognome tedesco ad averlo salvato, ma anche l'appartenenza alla categoria degli ebrei misti, cioè di coloro che non hanno il cento per cento di sangue ebraico. Franco Schönheit, ferrarese, nato nel 1927, aveva due nonne cattoliche, quindi, secondo i nazisti, apparteneva a coloro che non dovevano essere eliminati per primi.
Fu catturato a Ferrara nel febbraio 1944 dalla polizia italiana, assieme ai genitori. Fu portato nel campo di Fossoli, in provincia di Modena. Lì a suo padre venne affidato il compito di capoblocco. Il 5 agosto del 1944 Schönheit arrivò a Buchenwald; fu liberato l'11 aprile dell'anno dopo.
"In quelle baracche c'erano circa 30.000 persone, nella stragrande maggioranza deportati politici, cioè il fior fiore della resistenza antinazista in Europa. Io e mio padre fummo molto aiutati da un medico polacco", testimonia il sopravvissuto.
Schönheit ricorda l'episodio di un giovane-SS che gli donò una moneta e scoppia a piangere mentre commenta: "Lui con la sua divisa e il suo mitra aveva perso, perché era dalla parte sbagliata. Io avevo vinto perché ero dalla parte giusta".

Nata a Salonicco nel 1923, fu prigioniera a Bergen-Belsen per sei mesi nell'agosto del '43. Un periodo più breve rispetto ad altri ebrei, perché Nina è di nazionalità spagnola, e la Spagna, al tempo delle deportazioni, era alleata della Germania pur non avendo accettato di legarsi all'Asse e di partecipare alla guerra.
I Benroubi appartenevano alla borghesia di Salonicco.
Nina racconta che fu lei stessa, inconsapevole, ad accompagnare alla stazione i genitori del fidanzato Alberto, che sarebbero saliti su uno dei convogli diretti in un campo di sterminio. Alberto, fuggito da Salonicco, divenne partigiano e fece un giuramento: non si sarebbe dato pace se non si fosse vendicato dei tedeschi.
Tornata a casa alla fine della guerra, dopo lunghe peripezie in giro per il Mediterraneo, Nina Banroubi racconta di essersi sposata con Alberto e di aver viaggiato insieme con lui instancabilmente, come se in questo modo potessero essere compensati di quanto subito dai nazisti.

Nato a Firenze nel 1925. Fu arrestato nel febbraio del 1944 e condotto nel campo di Fossoli; il 16 maggio dello stesso anno fu deportato ad Auschwitz assieme a tutta la sua famiglia: Nedo Fiano è l'unico superstite.
"A 18 anni sono rimasto orfano - dice - quest'esperienza devastante ha fatto di me un uomo diverso, un testimone per tutta la vita".
La sua storia è emblematica di come la salvezza potesse arrivare per caso. Quando giunse al campo, un ufficiale delle SS chiese se tra i prigionieri ci fosse qualcuno che conosceva il tedesco. Fiano si fece avanti. Alla domanda successiva ("Tu da dove vieni?"), la risposta ("Firenze") produsse quasi un miracolo. L'agente nazista cominciò a ripetere il nome della città, evocando ricordi personali e manifestando simpatia per il detenuto italiano. Inoltre, dopo aver scoperto che sapeva cantare, i capi del campo di sterminio lo invitavano a intrattenerli nelle loro baracche e in queste occasioni Fiano aveva la possibilità di mangiare qualcosa in più del rancio riservato agli altri prigionieri.
Fiano è stato liberato nel campo di Buchenwald, dove era stato condotto dalle SS in fuga alla fine della guerra. Si è laureato alla Bocconi, a 43 anni, mantenendo una promessa che aveva fatto alla madre.

«Alle donne che tornavano, avevano tolto gli organi femminili. Senza anestesia»

Ebrea di Salonicco ma con passaporto spagnolo, in base agli accordi tra Berlino e l’alleato Franco fu deportata nel campo di Bergen-Belsen, dove non c'erano camere a gas. Vi rimase dall'agosto del 1943 al febbraio del 1944.
Rachel Revah ricorda il giorno in cui il padre fu preso e invitato a raggiungere la sinagoga. E da questa partì la telefonata ai congiunti, perché lo raggiungessero con i bagagli. L'abitazione della superstite non è lontana dalla sede dello storico consolato italiano a Salonicco. La donna dice di aver sentito parlare di Guelfo Zamboni, il console fascista che con l'aiuto del suo numero due, il capitano Lucillo Merci, riuscì a salvare dalla deportazione quasi tutti gli ebrei italiani della città, inventandosi anche documenti falsi che venivano consegnati ad alcuni ebrei greci.

Nel tentativo di sradicare gli ebrei dalla storia, i nazisti hanno deliberatamente distrutto i documenti personali di alcune persone, cancellandoli dalla storia vivente. In molti casi è stato impossibile raccontare le storie delle persone, poiché sono morte e non sono mai state identificate.

Bisogna condividere le storie delle vittime dell'odio e del genocidio.

"Quello che è accaduto può accadere di nuovo", diceva Primo Levi.

Come ci ha insegnato Elie Wiesel, quando abbiamo ascoltato una testimonianza diventiamo a nostra volta testimoni. Questo è il monito e la sfida del nostro presente.

In ricordo delle vittime...

Ebrei 6 milioni
Civili sovietici circa 7 milioni (inclusi 1,3 milioni di civili ebrei sovietici, anche inclusi nei 6 milioni di Ebrei)
Prigionieri di guerra sovietici circa 3 milioni (inclusi circa 50.000 soldati ebrei)
Civili polacchi, non-ebrei circa 1,8 milioni (inclusi tra i 50.000 e i 100.000 membri delle elites polacche)
Civili serbi (in Croazia, Bosnia, ed Erzegovina) 312.000
Persone disabili che vivevano in istituti  fino a 250.000
Rom  fino a 250.000
Testimoni di Geova circa 1.900
Criminali recidivi e individui definiti asociali almeno 70.000
Oppositori politici tedeschi e membri della Resistenza nei paesi dell'Asse numero indeterminato
Omosessuali centinaia, forse migliaia (inclusi i quasi 70.000 criminali recidivi e gli asociali elencati precedentemente)