La crisi Covid è la più grave dal dopoguerra, perché colpisce sia la domanda che l'offerta


econdo l'economista Pino Mauro, non esiste un debito cattivo, esiste solo la necessità di venirne fuori



Categoria: ABRUZZO
29/09/2020 alle ore 09:51



Anche l’economia abruzzese sta risentendo dei devastanti effetti economici del Covid 19. Alcuni dati confermano la tendenza negativa in atto, che per alcuni settori assume una particolare rilevanza. La domanda, secca com’è, l’abbiamo rivolta all’economista Giuseppe Mauro, docente dell’Università D’Annunzio.

Questa la risposta.

Il primo indicatore riguarda il mercato del lavoro. Rispetto al secondo trimestre del 2019 vi sono 3 mila posti di lavoro in meno. Un dato tutto sommato non catastrofico e per certi versi anche inatteso. Non v’è dubbio che il blocco dei licenziamenti e l’estensione della Cassa Integrazione a tutti i settori abbiano contribuito a mantenere il mercato entro livelli non esasperati. Ovviamente a ciò appare opportuno aggiungere le misure poste in essere dal governo e dalla regione che hanno frenato la caduta dei posti di lavoro.

Sì va bene, però. C’è sempre un però dietro l’angolo.

Certo. Emergono alcuni aspetti che non possono essere trascurati, riguardanti da un lato il blocco delle assunzioni e dall’altro l’ulteriore discriminazione a scapito dei giovani e delle donne, in particolare per coloro che vivono il dramma del precariato.

Qual è il settore più penalizzato?

Le esportazioni. L’Abruzzo, com’è noto, è una regione aperta, con non poche imprese presenti sui mercati internazionali. Ebbene, l’interruzione delle filiere produttive e il calo della domanda hanno prodotto una diminuzione dell’export nel secondo trimestre del 2020 di oltre il 16%. Ad essere colpiti, ed è questa la nota dolente, sono stati i settori legati all’automotive, che rappresentano il cuore del commercio internazionale abruzzese. Ovviamente una impennata positiva è data dal chimico - farmaceutico che addirittura raddoppia i valori, trasformando in caduta ciò che poteva essere un autentico crollo. Tutto ciò non poteva riflettersi sul PIl 2020. Per la regione si prevede un calo dell’8,3%, al netto di una eventuale recrudescenza dell’epidemia che potrebbe spostare il dato verso l’alto, con conseguenze significative sull’occupazione.

Cosa fare?

In primo luogo bisogna prendere atto che ci si trova per la prima volta di fronte una crisi, che colpisce contemporaneamente sia la domanda che l’offerta, la più grave dal dopoguerra. Ciò implica l’esigenza di assumere provvedimenti di politica economica volti a mantenere le imprese sul mercato, a salvaguardare l’occupazione e a difendere il ceto delle professioni. Non ha significato, in questo contesto, parlare di debito “cattivo”.

Che vuol dire?

Vuol dire che siamo in emergenza e che questa situazione richiede provvedimenti in emergenza, ossia capaci di non far degenerare la situazione produttiva e occupazionale.

Basterà?

No, perché è anche arrivato il momento di pensare al futuro di questa regione e domandarsi quale deve essere il suo domani. Ecco allora il bisogno di avere una visione strategica , di individuare le priorità e di configurare elementi progettuali di alto profilo. Oltre al green deal e alle infrastrutture bisogna partire dalla rivitalizzazione delle nostre filiere strategiche che si chiamano moda, turismo, automotive, agroalimentare.