ABUSO DI CHE?



di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
28/07/2020 alle ore 11:16



Aveva ragione mia madre quando, da fresco neodiplomato, mi incitava ad intraprendere medicina o giurisprudenza. “Tanto un medico o un avvocato in famiglia servono sempre”, soleva ripetermi.

Figurarsi. Avevo tutt’altro per la testa. Ero indeciso se frequentare scienze motorie (ai miei tempi il glorioso I.S.E.F.) oppure cimentarmi con lo studio di matematica e fisica nell’ambiziosa prospettiva di poter conoscere l’universo.

La vita mi ha portato altrove, come spesso accade. E come, in fondo, è giusto che sia. Ma non ho mai smesso di nutrire una curiosità attenta per quanto deciso a livello politico dal nostro legislatore, soprattutto quando le riforme adottate vengono colorate da un ostinato senso di giustizia sostanziale, a discapito di una più sana e produttiva onestà intellettuale.

In mezzo al coacervo di decreti (legge e ministeriali) che, ai tempi del CoronaVirus, abbiamo consumato forse anche più del lievito di birra, recentemente vengo a conoscenza della pubblicazione del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 – il cosiddetto “ decreto semplificazioni”, in vigore dal 17 luglio 2020 - contenente, tra le altre misure, la riforma del reato di abuso d’ufficio (art.323 c.p.), ritenuto da studiosi e operatori uno dei più insidiosi deterrenti alla “firma” durante l’iter decisionale della P.A. e fonte privilegiata del poco meritorio fenomeno della “burocrazia difensiva”.

Non sono un giurista. Ma l'abuso d’ufficio è forse il delitto più inutile e disapplicato della storia repubblicana. Ed oggi, dopo l’ennesimo restyling “pentademocratico”, ancora di più.

Non intendo annoiarvi con la storia (lunga e travagliata) che ha portato all’adozione (ed alle numerose modifiche) di questo reato. Preferisco andare sul pratico.

In generale, prima della riforma del 2020, commetteva abuso d’ufficio il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, in violazione di legge o regolamento, procurava a sé o ad altri un ingiusto vantaggio o cagionata un ingiusto danno.

Immaginate il caso degli intramontabili concorsi pubblici per un solo posto. Nei bandi viene richiesto un requisito che solo il candidato da favorire possiede. Non c’è scambio di favori (altrimenti ci sarebbe corruzione), né sussistono minacce (altrimenti ci sarebbe concussione). Voglio semplicemente far vincere Tizio, inserendo discrezionalmente tra i requisiti di partecipazione proprio quella caratteristica specifica che soltanto egli possiede. Tizio, ovviamente, vince.

Un simile broglio sarebbe disvelabile solo attraverso un pentimento diretto dei soggetti coinvolti (ergo: mai) oppure attraverso una certosina (e costosa) opera di intercettazioni telefoniche e/o ambientali.

Dopo il decreto-legge 76/2020, perché si abbia abuso d'ufficio non è più sufficiente la violazione di legge o di regolamento (e quindi: un cattivo uso del potere discrezionale), ma è necessario il contrasto con “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.

Quindi: l’intento in apparenza encomiabile è quello di evitare persecuzioni indiscriminate nei confronti dei pubblici ufficiali che esercitano il loro potere discrezionale, potere che consiste nell’individuazione della soluzione migliore nell’esclusivo interesse pubblico (e contabile).

Il risultato concreto mi pare, in prospettiva, opposto. Mantenere zone d'ombra dove il Pubblico Ministero ed il Giudice non possono ficcare il naso, perché non possono più sindacare l’attività discrezionale della pubblica amministrazione, ma soltanto quella vincolata da specifiche norme di legge.

Ora vorrete perdonarmi, ma vado a compilare la domanda per un concorso.

Discrezionale, ça va sans dire.