Pd a congresso, scontro a due


Cosa cambia per il democratici d'Abruzzo?


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
04/06/2019 alle ore 10:49



Le parole magiche, che però hanno fatto drizzare le antenne un po’ a tutti, sono “congresso unitario” e “comunità rifondata e rinnovata”. Che aggiunte alle parole di giubilo del presidente del Pd Camillo D’Alessandro, “sono contento – dice – dello spirito costruttivo nel quale si è svolta la direzione regionale”, hanno insospettito ancora di più. 

D’Alfonso e D’Alessandro
Si erano lasciati con parole di fuoco, zingarettiani e martiniani, con questi ultimi, sconfitti e ormai minoranza, saldamente attaccati alle poltrone per tentare di salvarsi il futuro nella prospettiva di nuove elezioni politiche. Sì, proprio i dalfonsiani, che fino a questo momento hanno perso tutto ciò che era possibile perdere ma per niente disposti a mollare la presa, tanto che rinviavano di volta in volta la data della direzione regionale, hanno tentato fino all’ultimo di celebrare il congresso dopo l’estate per poter gestire le candidature in vista di eventuali elezioni politiche. 

Poi alla fine, messi alle strette, venerdì scorso hanno dovuto riunire la direzione regionale che si è conclusa con l’indicazione della data del voto, il prossimo 22 luglio. Con netto anticipo rispetto alle previsioni, quindi. E un clima da baci e abbracci. Ecco cosa è successo.

La mozione Zingaretti ha espresso un candidato, che è Michele Fina, che già fa parte dell’esecutivo nazionale. E su questo nome, a sorpresa ma non tanto, ha fatto sponda anche la minoranza  dalfonsiana. Una decisione inspiegabile, ma solo a prima vista. 

E tutto sarebbe andato per il verso giusto, felici alla meta d’amore e d’accordo, finché non si è alzato il sindaco di Francavilla Antonio Luciani, che si candida dovunque ci sia una poltrona libera: dopo aver tentato di lanciarsi alla presidenza della Regione, dimettendosi non si sa più quante volte da sindaco e sempre tornando sui propri passi, e dopo aver girato in lungo e in largo l’Abruzzo con la sua Cinquecento, dopo essere stato dalfonsiano e poi camilliano e alla fine zingarettiano, adesso punta dritto alla segreteria del Pd. 

“Io sono contrario a un congresso riformativo e unitario, farò la voce fuori dal coro”, 

ha detto lui in direzione. Aggiungendo, a voce più bassa nelle orecchie di qualcuno, “è stato Legnini a dirmi che mi vedrebbe bene alla guida del partito”. 
Apriti cielo: intanto perché Legnini non è più iscritto al Pd, poi perché anche alla Regione non fa parte del gruppo Pd, e per finire perché è anche molto vicino aMichele Fina, che è stato suo consigliere politico durante la campagna elettorale per le Regionali. Quindi la domanda è: Luciani millanta o dice la verità? Fatto sta che un esponente dei quarantenni della componente zingarettiana ieri pomeriggio ha incontrato proprio Legnini per avere qualche buon consiglio. 

Certo è che Luciani appare davvero come quello fuori dal coro, ed è sicuramente molto inviso ai dalfonsiani che ora non lo possono più vedere neppure col cannocchiale.

A questo punto, alla faccia della candidatura unitaria, a correre per la segreteria del Pd sono in due, sempre che i dalfonsiani non provino all’ultimo momento a tirare fuori dal cilindro un proprio candidato, che potrebbe essere Silvio Paolucci. Ma così non sarà, quasi sicuramente: intanto perché rischierebbero di perdere il congresso (anche se la mossa di Luciani potrebbe spaccare la corrente di Zingaretti e indebolire la candidatura di Fina), e poi perché in caso di sconfitta Paolucci sarebbe costretto a dimettersi da capogruppo.

Certo, Luciani ha la sponsorizzazione di Giovanni Lolli e poi indirettamente anche di Stefania Pezzopane che con il giovane candidato marsicano non vedrebbe riconfermata la propria candidatura al Parlamento: Fina si è scagliato contro la triade aquilana Cialente-Lolli-Pezzopane, ribattezzata la Trimurti, chiedendo che si facessero da parte. 

Certo, l’appoggio dei dalfonsiani a Michele Fina puzza di compromesso, anche se lui, il candidato alla segreteria, dice ai suoi che no, non hanno chiesto nulla, almeno per ora. Ma è certo che le contropartite ci saranno eccome: la conferma della presidenza del partito a D’Alessandro (che ambisce anche a essere il prossimo candidato alla presidenza della Regione nel dopo-Marsilio) e anche la riconferma al Parlamento; riconferma al Senato per Luciano D’Alfonso, che altrimenti non saprebbe cosa fare e riconoscimento del ruolo di Paolucci come capogruppo alla Regione, e poi si vedrà. Tutte richieste che non sono ancora scritte da nessuna parte, ma vengono considerate scontate da buona parte del partito. 

L’impressione è che con Fina i dalfonsiani potrebbero agire indisturbati: un nome come Andrea Catena, ora zingarettiano ma per anni nella segreteria politica di Dalfy, avrebbe fatto gridare allo scandalo. Invece, con il giovane marsicano, loro possono agire nell’ombra anche se lui ribadisce la propria indipendenza. Memore di quello che successe dieci anni fa quando, candidato contro Silvio Paolucci alla segreteria del partito, fu costretto a farsi da parte proprio perché i dalfonsiani avevano minacciato di far saltare tutto e di andare alla conta. 

Nel frattempo, Dalfy, D’Alessandro e la Pezzopane si organizzano: a luglio saranno al meeting dell’Italia Riformista che si terrà a Montecatini, insieme ai post-renziani, Lotti, Guerini eccetera eccetera. Vogliono ricostruire l’Italia, anche se al momento hanno lasciato l’Abruzzo piuttosto malridotto.


ps: in ogni caso, entro il 30 giugno si saprà chi saranno i candidati, si capirà se il Pd riuscirà a esprimere una candidatura unitaria al di fuori dai vecchi schemi, si scoprirà se Luciani sarà ancora deciso a giocarsi la sua carta e, soprattutto, se i dalfonsiani avranno ancora ben salde le leve del comando oppure no. 

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