Leggere Dante oltre le sbarre


Giuseppe Fanfani ha raccontato ai detenuti del supercarcere di Sulmona il significato del perdono


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
20/05/2019 alle ore 16:10



Non è una parola qualsiasi, è un superlativo, un dono fatto senza corrispettivo: ha gli occhi umidi e la voce che si spezza Giuseppe Fanfani mentre racconta ai detenuti del supercarcere di Sulmona il significato del perdono, declinando tre storie diverse, di quelle che fanno capire quanto sia importante pentirsi e perdonare soprattutto quando ti appresti a chiudere una porta, che sia quella di un carcere o quella della vita, e in una di queste c’è lui con suo padre, sul letto di morte. Lo libera un applauso, forte e riconoscente, da quel groppo in gola che gli impedisce di continuare. 

E’ un pomeriggio magico, emozionante, delicato quello di ieri al supercarcere di Sulmona, 166 ergastolani su 380 detenuti: Giuseppe Fanfani, avvocato di grido, ex sindaco di Arezzo, ex componente laico del Csm, artista e ora appassionato interprete della Divina commedia che recita a braccio incantando le platee di mezza Italia, è qui per regalare due ore di poesia pura a un nutrito gruppo di studio di detenuti che tra l’altro sono membri della giuria popolare del premio Croce. 

Un’iniziativa che fa parte del programma della Fondazione Irti per la diffusione della cultura negli istituti penitenziari in accordo col Csm e portata avanti dall’ex vice presidente del Csm Giovanni Legnini. Fanfani è stato invitato per recitare Dante, tra poco leggerà il canto quinto del Purgatorio, un canto poco conosciuto, e dice subito che la sua vicinanza al mondo che vive dietro le sbarre lui la vuole trasmettere così, attraverso la poesia.

E’ importante la poesia, lo è per la Fondazione Irti che ha promosso questo evento, lo è per tutti. Ed è importante la conoscenza in generale. Anche Dante lo diceva, “la conoscenza è un dovere”, non è un optional, e lo diceva Sant’Agostino: “Uno dei doveri della collettività è la conoscenza pubblica, di tutti”, solo così cresce una società.
E quanto è attuale e politico questo inizio, lui lo sa e lo dice, “io posso parlare più liberamente, adesso”. D’altronde proprio Fanfani e Legnini furono i firmatari di una proposta per la modifica dell’ordinamento penitenziario e l’umanizzazione delle carceri. 

“Mi piace venire qui – ha esordito Legnini nel saluto iniziale – e parlare come abbiamo fatto in passato di letture, cultura e scrittura. E la dimostrazione dell’importanza della cultura ci viene proprio dalla storia, è la storia che ci racconta di tantissimi detenuti per ragioni politiche che hanno prodotto dal carcere libri, saggi, lettere che hanno rappresentato ponti con la società, per citare solo Pertini, Spaventa, Gramsci. Grazie alla cultura sarà possibile affrontare le prove più dure come la detenzione”.

E si fa attentissima la platea quando Fanfani comincia a raccontare le storie dei “morti per forza” del quinto canto del Purgatorio, i morti ammazzati, e peccatori fino all’ultim’ora, che si pentono nel momento del trapasso conquistando così l’accesso al purgatorio. 

“Pentimento e perdono non possono essere disgiunti – spiega – Io stesso sono un grande peccatore, chi non lo è. Anzi, chi dice di esserne immune è il più pericoloso”.

Che bella parola è il perdono, mica è una parola qualsiasi, è un superlativo, una condizione umana che non ha corrispettivo. “Perdonatemi”, disse il padre a lui, Giuseppe e agli altri figli poco prima di morire, in pace. 

“Bisognerebbe che se ne rendesse conto lo Stato, oggi più che mai, dell’importanza del perdono – e tutti quelli che invocano inasprimenti delle pene a scopi elettorali”.

Perdonò Mandela, percorrendo il viale che lo allontanava dalla sua cella, “se non avessi lasciato l’amarezza e l’odio dietro di me, sarei ancora dietro le sbarre”, perdonò Renzo, il perdono ha due dimensioni, una individuale l’altra sociale, e serve a liberare l’animo e a darci serenità.

C’è un altro messaggio, nel quinto canto, importante per questo momento, per l’epoca che viviamo: “Vien dietro a me e lascia dir le genti”, e cioè lasciamo che parlino, ignoriamo i chiacchiericci, spiega ancora Fanfani. 
E quando alla fine l’avvocato-poeta termina di declamare a braccio, con commozione e passione, il quinto canto del Purgatorio, non c’è solo l’applauso ma anche l’abbraccio, uno per uno, con i detenuti presenti in sala. Lo scambio di parole, di impressioni, con lui e con Legnini, che conosceva già personalmente molti di loro. 

Al direttore Sergio Romice tocca concludere l’evento, i ringraziamenti di rito, alla coordinatrice del gruppo, alla fondazione, ai protagonisti. La promessa di Fanfani, è il regalo più bello per i detenuti: “Io non costo niente, verrò ogni volta che mi chiamerete”.