Quella scatola di foto


Easy writer/Il racconto/Marco La Greca


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
20/05/2019 alle ore 16:12



“Papi, ma perché non ci sono le foto di quando andavi al liceo?”.

A casa di mia madre, dove ci troviamo, in effetti, nelle cornici appoggiate sui mobili o appese alle pareti, si vedono solo immagini in cui sono adulto. Oppure di quando ero in fasce.

Del liceo, invece, nulla.

Mentre lei, mia figlia, ora in quella fase si trova.

Normale che abbia questa curiosità. 

Non resta che andare a rovistare nello scatolone delle foto.

Dopo qualche tentativo poco fortunato, mi rendo conto che si è fatto tardi e non abbiamo tempo per cercare ancora; allora prendo una decisione drastica: mi incollo lo scatolone e lo porto a casa, depositandolo in camera di mia figlia. In fondo era lei che aveva manifestato l’esigenza di curiosare nel tempo.

Tornati a casa, sembra non interessarle più.

Passano uno, due, tre giorni. Lo scatolone rimane sempre lì. Intonso. 

“Papi” al liceo, forse, era solo una estemporanea e fugace curiosità.

Mi ripropongo di riportarlo presto da mia madre. Prima, però, decido di dargli una guardata.

Effettivamente è lo scatolone con le foto familiari del decennio corrispondente al liceo, all’università, al militare, al primo periodo lavorativo.

Un periodo nel quale mio fratello ed io siamo presenti solo in due fasi dell’anno. A Natale e a maggio. A Natale, vabbè, perché è Natale, come fai a sottrarti? A maggio, invece, perché erano i nostri compleanni. 

Dai 14 anni in poi, del resto, un ragazzo fa di tutto per non stare con i genitori, che riescono a catturarlo solo a Natale e ai compleanni, appunto. 

Sorridi. Mettiti qui. Sorridi. 

Click. Click. E ancora click.

Scorrono davanti a me una decina d’anni di vita familiare. Dicembre e maggio. Natale e compleanni. 

Sorvolo sulle evidenti trasformazioni fisiche, sia nel percorso delle foto, sia nel rapporto con l’oggi. E’ nell’ordine naturale delle cose e sto imparando ad accettarlo. Con qualche difficoltà, ma sto imparando.

Mi colpiscono invece le foto della festa di 50 anni di mio padre. 

Forse perché le vedo proprio nella settimana in cui anche io sono giunto alla stessa tappa. 

Lì tutti in giacca. Gli invitati, mio padre, mio fratello ed io, diciassettenne. Mascherato da persona che non ero.


A 50 anni, continuo a sentirmi veramente me stesso solo con i jeans.

La seconda cosa che mi colpisce è vedere le immagini di momenti nei quali, come ho letto da qualche parte, sembra che non succeda niente, e invece sta cambiando tutto. Non lo sapevamo, non potevamo saperlo, ma così non saremmo stati più. 

Infine, mi colpisce una foto. 

E’ quella dei miei sedici anni. A casa dei miei genitori, in salone. Indosso avevo un maglione a righe orizzontali mai andato di moda. La foto a scattata mentre mi muovevo per spegnere le candeline e perciò risulta mossa. Il viso non si distingue per nulla. Una foto sbagliata. Eppure mia madre, anziché lasciarla nella busta dei negativi e degli scarti, l’ha inserita nell’albumino dei ricordi. Perciò adesso mi ricorda chi ero: un sedicenne indefinito e confuso. Mosso. Catturato nel giorno del suo compleanno, desideroso di essere altrove, bisognoso di quella stessa cattura.  

Nella settimana dei miei 50 anni, mi chiedo chi sono.

Forse una foto, retrospettivamente, lo svelerà.

Intanto mia figlia, quando finalmente ha visto gli scatti del liceo, ha detto che ero bello.

Poi è tornata nella sua stanza.

Domani riporto quella scatola di foto da mia madre.