Cosa si nasconde dietro la guerra della frutta tra Serbia e Croazia?


Belgrado punta a costruire un mercato unico dei Balcani, bacino da 20milioni di consumatori e 80mila nuovi posti di lavoro. Ma con il rischio di una nuova ex Jugoslavia


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
05/08/2017 alle ore 12:09

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Se Belgrado è segnalata in rosso sui libri di storia perché innescò la Prima Guerra mondiale con l'assassinio dell'arciduca Franz Ferdinand e di sua moglie Sofia, nel giugno 1914, oggi dopo esattamente un secolo di altre guerre e regimi di varia natura, recita un ruolo assolutamente significativo in quella macro regione a cavallo tra occidente e oriente. Non fosse altro perché lì, proprio sulla dorsale balcanica, si stanno concentrando una serie di interessi legati alla geopolitica.

La Serbia minaccia ritorsioni dopo la decisione della Croazia che impone più balzelli per il controllo della frutta e verdura importata dai paesi extra Ue. Secondo il ministro degli Esteri serbo, Ivica Dacic, forse la Croazia punta in questo modo a diminuire il disavanzo commerciale che presenta con la Serbia. Ma dietro la partita della frutta e della verdura c'è evidentemente dell'altro.

La Serbia ha da tempo proposto di istituire un mercato unico dei Balcani, un bacino commerciale da venti milioni di consumatori e 80mila nuovi posti di lavoro. La proposta è però avversata da Kosovo, Montenegro e Albania, convinti che Belgrado voglia così dominare sui mercati regionali rifacendo, de facto, una nuova ex Jugoslavia che era stata sfaldata dagli anni della guerra. Inoltre, sostengono i dubbiosi del mercato unico, i paesi dei Balcani partono da pre condizioni differenti e mostrano un panorama commerciale disarticolato, come dimostra il fatto che proprio la Serbia recita il ruolo di super player per via di un accordo di libero mercato con la Russia.

Il rischio, a questo punto, è che vanga creato nei Balcani un gruppo di paesi di serie A e uno di serie B, con tra questi ultimi il Kosovo, che tra l'altro non è ancora stato riconosciuto da parte di Serbia e Bosnia-Erzegovina in virtù di vecchie ruggini post guerra, anche se proprio Pristina sta lavorando da sola per entrare nell’Ue.

I sei Paesi (Albania, Bosnia Erzegovina, Fyrom, Kosovo, Montenegro e Serbia) sono i destinatari del cosiddetto Processo di Berlino: si tratta di un’iniziativa a guida tedesca strutturata al fine di ridisegnare l'insieme del sistema di cooperazione nei Balcani avanzata dalla Cancelliera Angela Merkel e di cui l’Italia detiene nel 2017 la presidenza.

Proprio l'Italia lo scorso 11 luglio ha ospitato a Trieste il summit sui Balcani, con la contemporanea presenza di capi di governo e ministri degli esteri, dell’economia e dei trasporti di tutti i paesi dei Balcani occidentali, dei sei Stati membri dell’Ue (Austria, Croazia, Francia, Germania, Italia e Slovenia) assieme a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Johannes Hahn, commissario per la politica di vicinato e i negoziati di allargamento, e Violeta Bulc, commissaria per i trasporti.

In quell'occasione è stato siglato il trattato che battezza la Comunità dei Trasporti tra Ue e i sei ed è stato presentato il cosiddetto Piano d’azione pluriennale per l’area economica regionale a cui farà seguito l'Ufficio Regionale per la Cooperazione Giovanile, di stanza a Tirana.

Ma proprio lì, dove si consuma tra Mosca e Berlino lo scontro per la leadership della macro regione e delle sue mille nuove opportunità, l'Italia non riesce ad essere presente con decisione, tranne che in Albania. Troppo poco per non perdere il treno dello sviluppo che, un secolo dopo la Grande Guerra, passerà di nuovo da lì.

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