Sisma, cosa resta dopo dieci anni di sciami, promesse e lacrime?

Vogliamo dircelo? E diciamocelo, senza retorica ma con cruda franchezza. Il decennale del sisma aquilano è amaro, come amare sono le parole che da più parti si stanno levando. C'è chi ha avuto una casetta, chi non ce l'ha, chi l'ha persa per sempre, chi è in condizioni difficilissime. C'è chi ha abbandonato Campo Tosto, chi se ne è fatto una ragione, chi piange ancora parenti, amici e mura di una vita.

E c'è chi accusa media e cinema di marciarci sopra. Nulla di più sbagliato. Tutti, politica in testa, dovrebbero dire grazie a telecamere e taccuini che ricordano agli smemorati cosa è accaduto, cosa è stato fatto bene, cosa è stato fatto male e cosa non è stato fatto per niente.

A questo serve una coscienza critica, o no? Il cinema, la televisione, il web hanno una direzione di marcia che è quella del racconto. Quante volte ci siamo lamentati negli ultimi due lustri del fatto che l'Italia fosse preda di una infinita crisi del racconto? Svariate. Anche per questa ragione è fiorita l'antipolitica sui social, perché troppo spesso le carte erano nascoste, le dinamiche pure, finanche le opinioni.

E invece il decennale del sisma all'Aquila ci offre la possibilità di ricordare, di far decantare fatti, storie, lacrime e rimpianti. La ferita fa male, è ancora purulenta e non serve adesso che la politica tenti di coprirla: prima occorre disinfettarla, solo dopo si potrà pensare di metterci sopra un bel cerotto.

E per disinfettarsi davvero, non con una lavata all'acqua di rose, serve che chi non ha fatto tutto quello che andava fatto faccia mea culpa (come nessuno ha fatto ad esempio a Rigopiano, dove di mancanze ce ne sono state a bizzeffe).

Senza il piglio tutto italico di una piazzare Loreto, intediamoci, ma solo con quella franchezza che fa bene e a tutti, Oggi e soprattutto domani.

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