Santa Sofia: lo schiaffio del sultano alla cultura mondiale


Qui in ballo c'è la credibilità internazionale, la laicità della cultura, visto che la basilica è un museo e tale dovrebbe rimanere


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
01/04/2019 alle ore 10:25

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Ciò che appare più grave, nella becera provocazione del presidente turco Erdogan, che ha minacciato di trasformare la Basilica di Santa Sofia in moschea, è la mancata reazione del mondo intero. Come se uno schiaffo tirato in pieno volto ad un luogo patrimonio culturale dell'umanità non valesse una presa di posizione per motivi politici ed economici.

Nessun comizio, nessun candidato alle prossime elezioni europee ha toccato l'argomento. E'anche su questi binari, e non solo su quelli spiccatamente economico-finanziari, che il treno dell'Ue sta perdendo di vista obiettivi e comportamenti.

Il fatto che il presidente turco voglia accreditarsi come leader religioso nell'intera area mediorientale è denotato direttamente dalle sue parole, pesanti come fendenti: "Chi resta in silenzio quando la moschea di al-Aqsa (a Gerusalemme) viene attaccata, calpestata, le sue finestre vengono rotte, non può dirci cosa fare con lo status di Santa Sofia". Un ping pong assoluto, che gioca su un tavolo scivoloso perché sconfinato in un ambito che politico non è. Qui in ballo c'è la credibilità internazionale, la laicità della cultura, visto che Santa Sofia è un museo e tale dovrebbe rimanere.

Nel mezzo le elezioni amministrative turche che consegnano ad Erdogan uno scenario mutato; il sultano ha visto produrre una piccola crepa nel suo consenso quasi assoluto. Ha perso Ankara, è incerto sul dato di Istanbul e la gente ha ancora negli occhi il sangue e i massacri di Gezi Park, quando la repressione militare si trasformò in omicidio, scagliata dal governo contro giovani, studenti e manifestanti.

Certo, a livello nazionale la coalizione di Erdogan resta sopra il 50%, ma in calo vistoso rispetto ai mesi scorsi. Lo dimostra la performance del socialdemocratico Chp che è sopra il 30%, con quasi il 40% raggiunto a braccetto con la sua Coalizione che ingloba l'Ip (di centro-destra). E Smirne, terza città turca e tradizionale roccaforte laica, resta sotto il loro controllo con Mustafa Tunc Soyer.

Anche la violenza nelle urne, con la zona meridionale della Turchia protagonista di scontri tra clan rivali che hanno causato quattro morti e decine di feriti, nonostante i numerosi osservatori invitati nella regione tra cui due italiane (anche fermate e interrogate dalla polizia).

Nel frattempo non si arresta lo scivolamento della lira turca, che ha perso l'1,2% a 5,62 contro il dollaro e si pone come specchio per la prima significativa sconfitta elettorale di Erdogan. Ankara non sarà più come prima, giurano in molti.

 

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