L'amore di una tata - L'occhio del gatto/Il film/ #Roma / #decimaMusa


Regia: Alfonso Cuarón. Con: Marina de Tavira, Yalitza Aparicio, Nancy García García. Genere: Drammatico


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
17/02/2019 alle ore 09:40



Vi parlo del film che in questi mesi, da quando è uscito (ed è pochissimo) ha vinto il Leone d’Oro 2018, i premi per la migliore regia e il miglior film straniero ai Golden Globe 2019, il British Academy Film Award come miglior film 2019, il premio Goya come miglior film latinoamericano 2019, per dirne solo alcuni. Perché la lista è molto più lunga: e vorrei dire la mia prima dell’Oscar, che non credo mancherà.

Una prima particolarità è che si tratta di una produzione Netflix: infatti, dopo una manciata di giorni dalla sua uscita nei cinema, poteva vedersi in streaming sul piccolo schermo. Una scelta originale per un grande regista come Cuarón (avete visto Gravity, del 2013? Un’opera in tutto diversa da questa!) ma innegabilmente popolare: mettere un capolavoro, che di consueto si troverebbe solo nelle sale d’essai per super esperti e appassionati “colti”, alla portata di tutti, quasi contemporaneamente al cinema (e non dopo mesi) visibile sui PC, gli smartphone, i tablet, i monitor di tutte le grandezze.

Dopo averlo visto, ho pensato che questa possibilità di accesso facile ed immediato su una piattaforma così diffusa, soprattutto tra i giovanissimi, si sposa bene con il tipo di storia che il cineasta messicano racconta, sui personaggi e sulla qualità dei ricordi che vengono condivisi con gli spettatori.

La trama infatti è semplicemente vita: ed approfondendo si capisce che è vita vissuta dallo stesso regista, nella sua infanzia a Città del Messico. E Roma non è la nostra capitale, ma il nome di un quartiere borghese dove la storia è ambientata. Siamo nei primi anni 70: lo scenario è una grande casa da ricchi, stracolma di libri, tappeti, quadri.

Una famiglia numerosa, tre figli, una colf, una tata, il cane, i genitori e la nonna materna. Lo sguardo di Cuarón non è bonario con loro: la sua memoria non ha tinto di rosa il ricordo del padre (un medico sempre impegnato al lavoro, egoista, distante, a tratti vigliacco) e della madre (una donna delicata e colta, ma così debole ed incapace alla vita da non poterla affrontare da sola).

Al centro del racconto c’è Cleo, la tata: chi la interpreta non è un’attrice professionista, ma una ragazza messicana qualunque, forse scelta per la somiglianza, anche nelle movenze, con la vera protagonista dell’infanzia del regista. Il tutto è narrato con un bianco e nero “rivitalizzato” in chiave moderna (più luminoso di come sarebbe stato con le tecniche dell’epoca): come se davvero si facesse un viaggio a ritroso, e i pensieri del passato non sono mai a colori.

Le vicende narrate oscillano tra la normalità banale del quotidiano, il dramma di un dolore insostenibile per Cleo, la cronaca dell’attualità di quei tempi, con le manifestazioni studentesche e le repressioni violente. Il Messico è un paese rumoroso ed in fermento, diviso tra l’antico e il soprannaturale delle civiltà precolombiana ed una modernità che stenta a farsi percepire come qualcosa di veramente buono per tutti. È un film, Roma, tutto al femminile: sono le donne a tenere la barra del timone, mentre le figure maschili si distinguono per meschinità, viltà, mediocrità.

Tre parole accentate di seguito: tutte e tre a descrivere qualcosa di profondamente negativo da cui deve essere stata intrisa l’infanzia di Cuarón, legata agli uomini della sua famiglia e a quelli che vi ruotavano intorno. Si salva solo il cane, che è maschio: ma quante volte ci viene da pensare “più conosco gli uomini, più amo gli animali?”. A me è già successo di frequente.

4 ciak, con un avvertimento: non è un film leggero o facile. Preparatevi a qualcosa di semplicemente unico. Ma non divertente (e non dite che è lento, per favore: piuttosto evitate di vederlo!).

 

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