Dal bacio all'uxoridicio? La Lega mangia i 5 stelle


Non solo per la regione ma per il Paese intero e il governo nazionale


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
12/02/2019 alle ore 10:41



Un test importante, quello dell’Abruzzo. Non solo per la regione ma per il Paese intero e il governo nazionale. Ecco perché tutti i riflettori erano puntati qui ed ecco cosa emerge dal voto di domenica secondo importanti istituti di ricerca.

Il baricentro politico si è spostato nettamente verso il centrodestra, in particolare modo a favore della Lega. Il partito di Salvini, grazie alla sua massiccia presenza in Abruzzo, riesce così a imporsi per la prima volta anche al Centro-sud come principale forza politica: qui dove cinque anni fa neppure presentava liste o candidati, dopo un anno di governo, la Lega raddoppia i suoi consensi dimostrando il successo della sua strategia politica e cioè progressivo logoramento nei confronti dei 5 stelle e crescente predominio nel centrodestra.

Il centrosinistra arretra sicuramente rispetto alle Regionali del 2014 ma si allarga in modo insperato rispetto alle ultime elezioni Politiche, quando lo schieramento aveva ottenuto il suo peggior risultato dal 1970, peggiore persino rispetto alla vecchia Margherita. E questo si deve alla generosa mobilitazione di cui è stato capace il candidato del centrosinistra Giovanni Legnini, che così ha sperimentato un laboratorio che potrà probabilmente essere adottato con successo anche in campo nazionale.

Al contrario i 5 stelle hanno sprecato l’ennesima occasione di conquistare il governo di una regione soprattutto qui al sud dove c’è il suo più grande serbatoio di voti. Il voto di domenica per il partito di Di Maio (che nonostante la sua massiccia presenza in Abruzzo al fianco di Sara Marcozzi nei giorni della campagna elettorale ieri nel dopo-voto non ha rilasciato neppure un commento), potrebbe trasformarsi in una battuta d’arresto determinando l’inversione di un trend di crescente espansione elettorale.

Il Movimento 5 stelle alle Politiche di un anno fa sfiorò il 40 per cento dei voti e questa delle Regionali abruzzesi si prospettava per loro come un’opportunità per accedere per la prima volta al governo di una regione.

Sì, un test importante: non solo per i grillini ma anche per verificare la concreta consistenza dei consensi della Lega in una regione del Centro sud, e anche per misurare i reali rapporti di forza all’interno del centrodestra. Il partito di Berlusconi fino a ieri poteva ancora vantare il primato nello schieramento di centrodestra mentre la Lega era ancora il secondo partito della coalizione. Un test importante anche per capire i rapporti di forza tra i principali schieramenti e lo stato di salute dei partiti alternativi ai 5 stelle.

Partendo dal presupposto che la partecipazione alle elezioni è stata di poco superiore alla metà degli aventi diritto, domenica scorsa si è registrato un calo di affluenza rispetto alle politiche del 4 marzo 2018 di 19 punti percentuali e oltre.

Insomma, il voto di domenica ha consacrato il successo della coalizione di centrodestra. E Marco Marsilio, a dispetto dell’incompetenza sugli arrosticini, sul dialetto, a dispetto della targa di debolezza e di paracadutato che gli è stata affibbiata subito, ha ottenuto il 48,3 per cento dei voti (299.949), cinquemila in più delle sue liste. Trainato dalla Lega di Salvini, che alle elezioni del 2014 non era presente e adesso è diventata il primo partito col 27,5 per cento dei consensi, superando sia il Pd che i 5 stelle.

Cresce anche Fratelli d’Italia, il partito di Marsilio, che raddoppia i suoi voti passando dal 2,9 al 6,5. Nel centrodestra è chiaro che si rafforza la componente più estrema mentre si indebolisce l’area moderata: sia Forza Italia che Udc passano rispettivamente dal 16,7 al 9,7 e dal 6 al 3,2 per cento. Il centrodestra cresce quindi di 13,7 punti rispetto al voto dello scorso 4 marzo, rivelandosi il primo schieramento politico.

Ma il vero sconfitto del voto di domenica è il Movimento 5 stelle che puntava a conquistare la presidenza della Regione e mai avrebbe pensato di arrivare terzo. Rispetto alle Politiche del 4 marzo la perdita di voti supera i 20 punti percentuali (-184.719 voti) schiacciandolo al rango di terza forza politica.

Loro i grillini si ostinano a dire che il raffronto va fatto con le regionali del 2014, quando si erano appena affacciati sulla scena politica, non avevano ancora iniziato i 5 anni di opposizione e non erano quindi ancora al governo del Paese. Secondo l’Istituto Cattaneo

“di fronte a un trend elettoralmente crescente nel voto politico (più 10 punti percentuali dal 2013 al 2018), era lecito aspettarsi una conferma della stessa tendenza anche a livello regionali. Invece il voto di domenica fa suonare un primo e rilevante campanello d’allarme per i cinquestelle”.

Anche il centrosinistra perde, rispetto alle regionali del 2014 e arretra di 16 punti percentuali (dal 46,6 di D’Alfonso al 30,6) ma cresce rispetto alle politiche del 4 marzo 2018, visto che dal 17 per cento è passato al 30,2 anche grazie al traino della lista “Legnini presidente”. Sicuramente quindi il centrosinistra allargato mostra segni rilevanti di ripresa rispetto alle Politiche del 4 marzo: lo schieramento di Giovanni Legnini aumenta di 13 punti percentuali arrivando al 30,6 per cento dei voti, un risultato impensabile qualche mese fa.

Secondo il Cise, centro italiano studi elettorali dell’Università di Firenze e la Luiss, all’Aquila addirittura la metà dei voti della Lega proviene proprio dal Movimento 5 stelle. Mentre a Pescara un po’ di meno ma comunque il 30 per cento dei voti del partito di Salvini proviene dai grillini: la dimostrazione che il ministro dell’Interno sta progressivamente cannibalizzando il partito di Di Maio. Anche l’Istituto Cattaneo ha analizzato i flussi elettorali e ha concluso dicendo che l’emoraggia di voti dal Pd verso i 5 stelle sembra terminata. Chi ha beneficiato quindi del crollo del Movimento? L’istituto divide gli elettori cinquestelle del 4 marzo in quattro gruppi. Ci sono i fedeli, che rinnovano il voto per il proprio partito (38% a Pescara, 29% a Teramo). Ci sono i disillusi, che passano all’astensione (28% a Pescara, 17% a Teramo).

E poi ci sono i traghettati (22% a Pescara, 34% a Teramo), che passano al centrodestra, conquistati probabilmente dal dinamismo dell’azione politica dell’alleato-concorrente di governo Matteo Salvini. Se guardiamo i flussi in entrata per Marsilio notiamo infatti che a Pescara il 24% (quasi un quarto, dunque) è costituito da elettori che lo scorso anno scelsero i cinquestelle. A Teramo la componente ex-grillina tra gli elettori di Marsilio è ancora più consistente. Ci sono, infine, i pentiti (12% a Pescara, 20% a Teramo), che passano (tornano) al centrosinistra: dei quattro è il gruppo più piccolo, anche se si tratta di un flusso che potrebbe avere un significato politico di un certo peso.

 

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