Dove può arrivare il destra-centro che nasce in Abruzzo?


Pillole di analisi tra conteggi e qualche certezza


di Francesco De Palo
Categoria: Editoriale
11/02/2019 alle ore 01:33



La calata di flash nazionali a Palazzo Silone ha la sua ragion d'essere nel trend che è nato in Abruzzo, dopo la vittoria di Marco Marsilio nella corsa per la Presidenza della Regione. Che cosa è accaduto nelle urne regionali? 

Che non solo la Lega si è confermata primo partito migliorando il risultato del 4 marzo, ma che ha dato vita alla fase due del post berlusconismo: ovvero quella strutturazione di alleanze locali che si ritrova alla voce destra-centro.

Mentre a Roma il governo giallo-verde vive fasi alterne, l'elettorato (in questo caso) abruzzese ha premiato la voglia di coalizione a guida salviniana. Con picchi di consenso che al centro e nel mezzogiorno d'Italia stanno trasformando il partito dei figli di Bossi da sparuta presenza a roccioso player. Per una volta negli ultimi vent'anni, chi ha deciso di farsi largo nella coalizione del fu Pdl lo ha fatto misurandosi nelle urne: e vincendo.

Salvini ha dimostrato di non voler fare il delfino solo a parole. E si è preso l'elettorato degli ex An, degli ex forzisti e del limbo centrista. Il bello viene adesso: chi lo dirà dalle parti di Arcore che la musica è davvero cambiata?

La parentesi del M5s vede, invece, una fisiologica e ampiamente prevedibile battuta di arresto: troppo marcata la differenza tra un movimento senza classe dirigente e chi invece non vive di likes o di strappi da buontemponi. Lo stesso slogan scelto per le regionali, la forza gentile, dice tutto e nulla: aveva fatto a suo tempo le fortuna di Pisapia sindaco di Milano, ma era stato proprio quello il peso specifico di un centrosinistra incapace di evolversi oltre la retorica che resta e restava asciutta.

Il vento antisistema della candidata Sara Marcozzi si è scontrato con la realtà dei fatti: lei stessa aveva fatto la pratica forense nel prestigioso studio legale di un altro candidato. Insomma, la gente non ha più l'anello al naso, come mi ha detto un tassista aquilano.

Passando al Pd, Giovanni Legnini perde ma con onore, e mette - perché no - il primo mattone di quel mondo nuovo che sarà la segreteria targata Zingaretti (con Gentiloni probabile presidente). Ovvero la cerniera con l'universo del civismo, dei sindaci e delle pulsioni territoriali. Chissà che non sia nel campo del centrosinistra 2.0 la vera novità, al di là di primarie e infiniti dibattiti su leaders o rottamati.

Nel mezzo una terra che adesso deve passare all'incasso delle promesse elettorali. Molte le voci che compongono questo lungo e articolato capitolo: la ricostruzione post sisma, la discarica di Bussi, la vergogna di Rigopiano, i lavori sulla A24, le ferrovie da potenziare, le strade da rendere civili e al passo con quelle di altre regioni. Non sarà facile, ma proprio a questo servono i migliori: dimostrino adesso di esserlo.

 

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