Caos in Siria, tra le mire di Erdogan e le politics Usa


Fino a ieri il ritiro delle truppe americane era subordinato solo alla sconfitta dell'Isis. Ma le cosa pare stiano cambiando


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
07/01/2019 alle ore 15:25

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Il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense, John Bolton, è ad Ankara per discutere di Siria con i funzionari turchi, mentre il presidente Donald Trump avrebbe acconsentito ai militari statunitensi di ritirare truppe e mezzi in quattro mesi, anziché in 30 giorni.

Una doppia mossa che impatta sulla guerra in Siria, ormai un caso più che clinico, dove medici ed equipe non riescono ad individuare la cura per il malato.

Non mancano però le contraddizioni di questa ultima decisione. Ufficialmente la Casa Bianca, secondo quanto fatto trapelare da Bolton nella sua visita in Israele di ieri, intende far rimanere le forze americane in Siria fino a quando gli ultimi resti dello Stato islamico non saranno sconfitti. Il problema però è che chi, fino ad oggi, ha lottato contro gli adepti dell'Is, i curdi, sono da sempre considerati i nemici numero uno da Erdogan.

E la mossa americana di lasciare al sultano di Ankara carta bianca nella zona di Manbij porta in grembo un rischio non da poco.

Certo, Ankara dice apertamente di non avere fretta nel portare a termine un'operazione a Manbij, ma sono molti gli attivisti e i testimoni secondo cui ribelli foraggiati dal governo turco sono giunti proprio al confine, pronti a intervenire.

Ora, il programma di strategie da applicare alla Siria accusa una fase di incertezza e di confusione, almeno da tre mesi. Da tempo Erdogan ha fatto sapere a Trump che lo Stato islamico era stato sconfitto in quel fazzoletto di Siria (così come anche in altre province), ma omettendo che il merito è stato dei combattenti curdi. Gli stessi che il presidente turco vorrebbe eliminare e che, grazie alla decisione di Trump, potrebbero vedere mutato il proprio destino nel breve-medio periodo.

Il nodo principale resta l'incognita legata al terrorismo e vedere uscire di scena chi ha da sempre combattuto contro l'Isis rappresenta un elemento che allontana la stabilizzazione nel paese.

Un punto di domanda che si sono posti anche a Tel Aviv, dove fino a poche ore fa tutti erano certi che una sola era la condizione di Trump per rititarsi dalla Siria: la fine dell'Isis. Poi qualcosa è cambiato, anche nella percezione complessiva oltreoceano, come dimostrano le parole di Bolton a Gerusalemme e ad Ankkara.

Dunque il ritiro non è più ovvio, né ancorato ad un solo prerequisito, ma “balla” anche in quel di Ankara dove le politcs trumpiane sono cangianti. Mentre durante la guerra fredda era tutto molto più lineare.

 

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