A breve nel nostro paese mancheranno migliaia di medici di base, mentre in alcune regioni mancano tantissimi radiologi e anestesisti. Di contro, il numero chiuso a Medicina impedisce il ricambio e, ciliegina sulla torta, una prestazione o un prodotto spesso costano più in Sicilia (dove la sanità è oggettivamente indietro) che in Lombardia (dove il S. Raffaele è eccellenza continentale riconosciuta).
Che c'è che non va? Tanto, tantissimo.
A fronte di questo quadro, però, non è utile sparare, come spesso si sente, fare nel mucchio per due motivi: non si centra l'obiettivo e mi mescola solo nel torbido, ritardando analisi e provvedimenti mirati.
"Vi posso assicurare che non cederemo alla privatizzazione dei diritti fondamentali dei cittadini: universalismo, gratuità ed equità continueranno ad essere la base del nostro sistema di cure". Queste le parole del ministro della Salute: l'occasione erano le celebrazioni del quarantesimo anniversario del Servizio sanitario nazionale, alla presenza del presidente della Repubblica.
Le “intollerabili disparità tra diverse aree Paese” si possono sanare sono programmando e agendo, non criminalizzando il privato, ma normandolo e ponendolo in sinergia con il pubblico.
La tesi del nemico da cerchiare in rosso, abbattendo il quale tutto tornerà “primavera di Botticelli” è pericolosa, perché eleva al cubo speranze e rabbia sociale, in un settore quantomai delicato come la salute.
Il nemico, invece, è spesso all'interno della macchina amministrativa e della politica che, improvvidamente, promette mari e monti e poi spesso è costretta a fare marcia indietro anche per propri limiti professionali, umani e caratteriali.
Tre le azioni da mettere in campo in questo preciso ordine: analisi, progettualità e misure. Variabili e fughe in avanti purtroppo non servono a comporre un quadro unitario e utile alla causa che si intende perseguire.
Il rischio è quello di fomentare un popolo di cittadini, imprese, lavoratori e disoccupati che, con la bava alla bocca, urlano la propria legittima disperazione che poi si trasforma in iper rabbia sociale. A cui, un nanosecondo dopo, nessuno saprà dare la risposta giusta.
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