I tre "guanciali" piddì su cui i gialloverdi possono dormire tranquilli...


Ebbene sì: con Minniti, Zingaretti e Martina a contendersi il partito, Di Maio e Salvini hanno poco da temere


di l'innocente
Categoria: CapoVerso (rubrica innocente)
20/11/2018 alle ore 18:12

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Si chiamano Marco Minniti, Nicola Zingaretti e Maurizio Martina. Ma, non si tratta di un tris d'assi. Sono piuttosto i tre soffici guanciali sui quali Luigi Di Maio e Matteo Salvini potranno dormire sonni più che tranquilli per fingere di litigare ad ogni risveglio. 

I tre aspiranti segretari del Pd, partito (quasi) defunto, non sembrano oggettivamente in grado di impensierire i ragazzi terribili della politica italiana. Appaiono, anzi, come il prodotto di risulta di una sinistra ancora in evidente stato confusionale post voto, vittima di ripicche e di veti, che ha scelto di fatto la maniera peggiore per rinnovarsi. Decidendo, in pratica, di non farlo, con un usato che di affidabile non ha nulla.

Inutile dire di Martina: già visto e soppesato quanto insignificante sia in questi mesi di anemica reggenza. Poi c'è Minniti, uomo delle istituzioni per autodefinizione in quanto ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega ai Servizi segreti e recentissimamente Ministro dell'Interno.

Uno che nuovo non appariva neppure vent'anni fa quando faceva parte del gruppo dei Lothar del mago Massimo d'Alema e che, adesso, tutto può interpretare tranne quella voglia di rinnovamento che pur serpeggia anche da quelle parti.

Uomo di potere, gestore di potere, amico di ogni potere, Minniti è infine assurto a simbolo del decisionismo della sinistra in salsa renziana. Peccato che lo fosse soltanto per i potenti amici di banche, aziende pubbliche e giornali ma, non per il popolo votante. Che infatti appena ha potuto (il 4 marzo) l'ha mazzolato duramente preferendogli, nel collegio di Pesaro, persino un grillino che già era stato espulso. È con questa cocente sconfitta sul groppone che il calabrese Minniti si presenterebbe adesso nelle vesti di innovatore del partito: potrebbero mai preoccuparsi pentastellati e leghisti?

Stesso dicasi per l'altro pretendente. Per Nicola "zeppola" Zingaretti, uno che piace alla Roma che piace ma, che non appassiona fuori dai quartieri bene, che non trascina. Reduce anch'egli - tra l'altro - da una sconfitta che solo il meccanismo elettorale del Lazio ha mascherato da vittoria. È stato infatti rieletto presidente senza una maggioranza in consiglio e grazie alla "opportuna" frattura nel centrodestra provocata dall'ex sindaco di Amatrice Pirozzi che ha drenato quei due punti percentuali scarsi necessari a fargli superare il "milanese" Parisi.

Ebbene si, con questi competitor è ovvio che Di Maio e Salvini potranno continuare a divertirsi a duellare tra di loro per portare più avanti ognuno le proprie bandiere. Provando a fare strike alle europee di maggio.

 

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