Elezioni Midterm, tutto previsto negli Usa (con due lezioni all'Italia)


Non è il dibattito interno a essere un freno, ma il trasformismo ad alta velocità che corre sui binari di una politica provinciale


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
07/11/2018 alle ore 09:43

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Senato ai Repubblicani e Camera ai Democratici rispecchia, sostanzialmente, il pronostico della vigilia. Le elezioni di midterm negli Usa non portano scossoni apocalittici, né si intravede a naso la possibilità di impeachment per il Presidente Donald Trump, visto che buona parte del suo partito non lo voterebbe.

Resta la partita dei governatori, con i nomi nuovi democratici che non sfondano, pagando fio per un cambio di leadership e classe dirigente che ancora non c'è, mentre dall'altro versante Ted Cruz si allena per il futuro (suo e del partito in vista del 2020).

I fiumi di commenti sulle rive del Potomac portano in grembo anche una doppia lezione per l'Italia che, al netto dei proclami riformatori, resta pesantemente imbullonata a vecchie logiche del passato.

Gli Usa hanno un sistema che va oltre le persone. Democratici e Repubblicani resistono a leaders, segretari, ministri e volti nuovi. Significa che il concetto stesso di destra e sinistra, chiaramente in evoluzione fisiologica in base ai tempi mutevoli, non si traduce in una commistione rancida di sigle e voti che si spostano in massa. Ma, fatte salve debite eccezioni, restano nell'alveo del proprio seminato e ciò a prescindere dai leader. Non è conservatorismo, ma coerenza: programmatica e valoriale.

L'esatto contrario dell'Italia, dove ciascun personaggio si fa il proprio partito, la propria sigla con il simboletto colorato per metterci dentro tutto e il contrario di tutto (compresi i gruppi parlamentari). E'accaduto con Forza Itralia di Silvio Berlusconi, con il Pd di Matteo Renzi, con il Movimento di Grillo che al suo interno accoglie una miscellanea di sensibilità.

Attenzione, non è il pluralismo o il correntismo a incarnare un problema: anche la Dc aveva le sue venature, distanti e differenti le une dalle altre, pure il Msi, con i rautiani e gli almirantiani. Dunque non è il dibattito interno a essere un freno, ma il trasformismo ad alta velocità che corre sui binari di una politica che sembra smarrire visione e contenuti, aderenza alla realtà e spirito programmatore. E ciò lo si scorge solo se ci si raffronta con l'estero, mentre invece sono molti i commentatori e gli elettori che tarano il tutto sulle polemiche da bassa cucina che si fanno in Piazza Montecitorio.

Qualche esempio?

Il sì o il no al gasdotto Tap non è perimetrabile solo all'interno di una promessa elettorale del M5s, ma investe la geopolitica di tre continenti. Un passaggio che spesso è stato dimenticato dagli attori italiani che peccano di iper provincialismo. Qualche giorno fa le breaking news di tutto il mondo erano capeggiate dalla crisi sistemica nel governo tedesco, con l'addio di Angela Merkel alla fine del suo mandato, mentre in Italia l'80% dei giornali apriva con l'ennesima polemica politica di piccolissimo cabotaggio.

Ecco, il cambiamento vero dovrebbe essere soprattutto nella testa di chi si trova nella stanza dei bottoni, in chiave evolutiva: il resto del mondo non è una cornice, lontana e ininfluente rispetto al Mediterraneo e a Roma. Per cui non si può procedere a testa bassa e con i paraocchi solo perché, ad esempio, tra sette mesi c'è una nuova elezione.

Altrimenti il frutto di questo albero sarà, ancora una volta, acerbo o marcio: quindi destinato a non essere commestibile.

 

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