Pescara, quel mercato che separa e non integra


Non è un buon segnale per tutti i commercianti pescaresi, attanagliati dai tanti problemi quotidiani di una città che offre sempre meno


di Jacopo D'Andreamatteo
Categoria: Punture di Spillo
24/10/2018 alle ore 19:42

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Dopo circa un anno dall’approvazione del progetto preliminare, il 21 aprile scorso la Giunta pescarese ha deliberato l’istituzione del “Mercato Etnico e dell’Integrazione”, nel sottopasso ferroviario di collegamento tra via Enzo Ferrari e via Arapietra. 

Sarà sperimentato per due anni, dichiarano i documenti ufficiali. Ci saranno 100 spazi espositivi. Nel bando pubblicato per l’assegnazione degli stalli è ben definito ciò che sarà consentito vendere: “prodotti non alimentari, artigianali provenienti dai paesi membri della Cooperazione Internazionale e territoriale, e/o con marchio “Equo e Solidale” o “Fairtrade” per la diffusione degli stessi sul nostro territorio regionale, acquisizione e scambio di esperienze.

I prodotti dovranno essere unici, originali e di elevata qualità: oggettistica, casalinghi, giocattoli, abbigliamento, borse, tessuti, mobili, arredamenti con design etnico di pregio, decoro artigianale, artigianato creativo.”

Poi arriva la deroga: “tali prodotti potranno essere integrati anche da altri prodotti in misura non superiore al 40% del numero degli articoli esposti provenienti da altri paesi non appartenenti alla Cooperazione.” Per sapere quali saranno gli altri prodotti bisognerà attendere l’apertura del mercato.

Premesso che un mercato definito dell’integrazione e che poi viene collocato in un’area non certo fruibile da molti e per di più lontana dagli altri mercati non comprendo quali effetti positivi possa avere tra le comunità straniera e pescarese.

La scelta di trovare nuovi spazi a chi, anche senza permessi e in difetto di qualsiasi normativa, vendeva la propria merce contraffatta e non, nell’area di risulta non è un buon segnale per tutti i commercianti pescaresi, attanagliati dai tanti problemi quotidiani di una città che offre sempre meno a chi vuole fare acquisti. I problemi del traffico e la carenza di parcheggi rendono molto più semplice, ai pescaresi e non, dirottare il proprio denaro da spendere verso i centri commerciali o l’e-commerce.

Fino ai primi anni del 2000 Pescara era la perla d’Abruzzo per la qualità dei prodotti d’abbigliamento, di arredo e oggettistica varia che offriva, nelle sue vetrine sempre perfette e luccicanti. Via Nicola Fabrizi e Corso Vittorio Emanuele erano prese d’assalto da chi cercava il capo all’ultima moda o semplicemente passeggiava incuriosito.

L’assenza anche di semplici strumenti in grado di contrastare quello che inevitabilmente è avvenuto con l’apertura di nuovi centri commerciali ha fatto sì che il commercio cittadino perdesse i grandi marchi.

Spendere circa 250.000 euro in un momento in cui l’oculatezza è una virtù rara non può lasciare indifferenti. Ma ciò che mi infastidisce di più è il voler separare, creando un’area ad hoc, il mercato etnico dal resto dei mercati rionali. Non avrebbe aiutato l’integrazione dei commercianti africani la concessione di postazioni o box, nei mercati già esistenti?

 

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