La versione di Garpez: incapace, ma non troppo


Occorre pertanto una estrema saggezza, da parte di giudici ed avvocati, nell'evitare che un principio di equità e giustizia si trasformi in un inammissibile privilegio


di Garpez
Categoria: La versione di Garpez
22/10/2018 alle ore 14:52

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La responsabilità penale è personale. Lo afferma la Costituzione all'art. 27.
Il senso di tale affermazione, così fondamentale da rappresentare uno dei principi fondamentali posti a fondamento del nostro ordinamento giuridico da parte dei padri costituenti, può essere inteso secondo un duplice significato. 

Uno, ovvio e letterale, vuol significare che a delinquere può essere solo una persona fisica, intesa nel senso biologico del termine. In realtà, vi sono ipotesi espressamente codificate di responsabilità delle persone giuridiche (cioè: società).
Il secondo e maggiormente “profondo” significato dell'art. 27 Cost. vuol esprimere la necessità che a rispondere delle conseguenze penali sia certamente una persona fisica, ma per un fatto (dicono i tecnici) “proprio” e “colpevole”.

Si tratta del cosiddetto principio di colpevolezza del diritto penale. Ma non voglio certamente annoiarvi con il “legalese", quanto piuttosto invitarvi a riflettere su di un ulteriore principio, previsto espressamente dal nostro codice penale all'art. 85, il quale prevede che, per irrogare una sanzione afflittiva, l'autore del reato al momento del fatto deve essere stato capace di intendere e di volere.
Si tratta della cosiddetta capacità naturale.

 Capacità di “intendere” vuol dire idoneità nel rendersi conto del senso delle proprie azioni.

Capacità di “volere" vuol dire idoneità a dominare i propri gesti. Ora, se appare ovvio che un soggetto totalmente incapace da un punto di vista naturale non solo non sarebbe in grado di autodeterminarsi, ma - quello che più conta – neppure di percepire il disvalore delle proprie azioni e la successiva finalità rieducativa della pena, è altrettanto vero come non sia infrequente che dinanzi a casi di delitti efferati, la richiesta di perizia circa l'accertamento della capacità di intendere e di volere più che un presidio di giustizia rappresenta talvolta un comodo escamotage per sottrarre il reo a ciò che gli spetta.

Occorre pertanto una estrema saggezza, da parte di giudici ed avvocati, nell'evitare che un principio di equità e giustizia si trasformi in un inammissibile privilegio a discapito delle persone offese dal reato.


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