Libia, dentro o fuori: ultima chiamata (anche per l'Italia)


La carta della conferenza di Palermo che Roma non può non giocare, ma c'è da risolvere il caso diplomazia-servizi


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
09/10/2018 alle ore 07:30

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L'intenzione è certamente delle migliori: una conferenza intercontinentale sulla Libia, organizzata a Palermo tra un mese per creare le condizioni di sicurezza indispensabili alla celebrazione delle elezioni nel paese. 

Nei fatti la messa in pratica non è delle più semplici. Incassato il “presente” dei due big di Usa e Russia (Mike Pompeo e Sergej Lavrov), il ministro degli esteri Moavero Milanesi sta in queste ore tentando di arrivare addirittura ad avere la contemporanea presenza di Donald Trump e Vladimir Putin. Un doppio colpo che, se centrato, darebbe ovviamente al meeting siciliano una veste differente.

E'come se sull'isola si volesse celebrare una pax forzosa dei vari players attualmente in contrapposizione in Siria, come ramoscello di ulivo plasticamente proiettato a Tripoli e Misurata.

Ma alcuni elementi andranno rapidamente chiariti per evitare che gli inviti (già spediti) per la conferenza possano essere letti con più di un sopracciglio alzato.

L'ambasciatore italiano a Tripoli Perrone è stato oggetto di una serie di tentativi di delegittimazione, inerna ed esterna. Secondo alcune ricostruzioni l'accelerazione con cui Parigi ha gestito l'affaire libico è alla base di una nuova stagione di instabilità, che ha fruttato nelle scorse settimane la ripresa dei conflitti, niente affatto sedati dal rimpasto di governo voluto da Al Serraj, che ha imbarcato nomi che risalgono ai tempi di Gheddafi in contrapposizione alla volontà di alcuni capi tribù della parte orientale.

E'un fatto acclarato che un pezzo dei servizi italiani non tifi per Perrone (la cui presenza a Palermo è in dubbio) che è stato però difeso dalla Farnesina, quindi da Palazzo Chigi che però nel frattempo è impegnato nella partita per il rinnovo dei vertici dei servizi.

Un maledetto rompicapo che, a dire il vero, doveva essere risolto molto prima sia perché il caso libico è una mina vagante pronta a riesplodere in qualsiasi momento, sia perché si tratta di nomine strategiche che non possono essere messe sullo stesso piani di altri cda.

Nel frattempo Washington, forse preoccupata dalla timidezza italiana, ha spedito la sua vice capomissione libica a Roma per “prendere contatti” con chi sta costruendo l'evento palermitano al fine di limare i dettagli, ovvero cerchiare in rosso obiettivi e strategie, immaginare un'armoniosità di interventi e scaletta, evitare come la peste contrapposizioni che potrebbero avere riverberi disastrosi per le future sorti del paese. E giungere così ad un risultato concreto.

Al momento, però, vanno rapidamente chiariti due aspetti: il nodo Perrone-servizi, senza il quale prenderebbe corpo la diffidenza internazionale sullo scarso peso specifico italiano (pur riconoscendone le buone intenzioni legate alla conferenza); e la triangolazione Onu-Tripoli-Misurata che andrebbe legata da una sapiente azione diplomatica e anche personale.

Ancora meglio se fosse gestita da una figura, ultracapace, riconosciuta e autorevole.

Senza questi due punti fissi il rischio è che Palermo diventi come il mercato della Vucciria. Bello, folkloristico ma drammaticamente preda di mille urla rivolte al cielo.

 

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