Il monito del Colle e la replica dei gialloverdi. La differenza è tutta lì. E si vede


Poco importa se mai in precedenza un presidente della Repubblica è intervenuto con tanto puntiglio e altrettanta costanza ancor prima di leggere nel dettaglio la manovra


di l'innocente
Categoria: CapoVerso (rubrica innocente)
01/10/2018 alle ore 20:17

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La differenza è solo questa. Si vede e si capisce. Come si capisce il perché del richiamo di Mattarella: conti in ordine, signori miei! 

Poco importa se mai in precedenza un presidente della Repubblica è intervenuto con tanto puntiglio e altrettanta costanza ancor prima di leggere nel dettaglio la manovra di governo. Nessuno (o quasi) ci fa caso.

E ancor meno importa che mai e poi mai, anche quando Mattarella era il vice di D'Alema a palazzo Chigi (vero?), i conti siano stati un problema.

Ma, ora è tutto diverso. Quelli che c'erano non ci stanno più mentre sono ben pochi per il Colle i riferimenti in questa inedita compagine di governo.

Perciò l'avviso diventa quasi un obbligo: "i conti devono essere in ordine".

Nessuno sconto né alcuna apertura di credito può essere concessa all'esecutivo gialloverde che inquieta così tanto Merkel, Macron, Junker e tutti quei cari amici europei, a cominciare da Moscovici, che lottano con le unghie e coi denti contro il populismo arrembante che rischia di sbaragliarli.

C'è bisogno di intervenire. E il Colle interviene. Avverte. Consiglia. E monitora. Attenti alla manovra, attenti allo spread, attenti a questo e a quell'altro. Attentissimi. Come mai lo sono stati quelli che c'erano prima e che adesso, da bravi patrioti, fanno il tifo per la catastrofe futura. E hanno anche la faccia di tolla di spiegare, dopo anni e anni passati al governo, cosa è giusto e cosa è sbagliato fare. In realtà il problema è uno e uno solo: questi giovanotti non crollano.

Non si spaventano e governano. Perciò c'è bisogno del fiato del Colle.

Ora che grillini e leghisti fanno esattamente il contrario di quello che facevano i governi precedenti, ora che provano a non far stringere più i buchi della cinghia agli italiani, ora che non mostrano di aver alcun timore davanti agli avvertimenti e alle minacce di questa dannata matrigna europea, ora si che c'è la necessità di intervenire per provare a stopparli.

Sempre in nome del popolo sovrano, ovviamente. Quel popolo che non elegge l'inquilino del Colle come non elegge la Commissione UE e che però, disgraziatamente, ha scelto di premiare questa razza di neofiti inesperti invece di continuare a fidarsi dei soliti noti, saputi e capacissimi.

Che ha chiamato Di Maio e Salvini al governo mandando per stracci i Monti, le Fornero, i Renzi, i Berlusconi, i Gentiloni, le Boschi e tutta quella compagnia di giro che per decenni se ne è infischiata bellamente degli italiani, dei loro bisogni e dei loro diritti.

Bei tempi. Tempi in cui con quell'élite politica, cinghia di trasmissione del potere economico e finanziario, non era necessario alcun richiamo, alcun monito. Anzi. Lacrime e sangue per il popolo bue e fiumi di contante per le banche amiche: una costante che era una vera pacchia.

Certo, più manovravano e più tutti noi ci si indebitava. Ma si poteva chiudere un occhio. Anche entrambi. Perché loro lavoravano in ossequio ai padroni della Unione Europea, della finanza e dei mercati, ai loro interessi e ai loro diktat. Bei tempi davvero. Che tuttavia, alla fine, hanno provocato un rigetto tanto potente quanto improvviso.

"Lavoriamo per l'Italia, non per la UE" hanno risposto Salvini e Di Maio al monito di Mattarella. Già. A pensarci è solo questa la differenza.

 

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