Un errore fare della Turchia una nuova Libia, ma peggio assecondare il Sultano


Per il dopo-Erdogan occorre una terza via, senza produrre altro caos nel Mediterraneo orientale dove il nodo è il gas


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
25/08/2018 alle ore 09:02

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Il problema non solo i ping-pong diplomatici, con un Paese che legittimamente cerca sponde e nuove partnership, e gli altri ad attendere che passi il cadavere del nemico.

Ma le conseguenze di una frizione che, se portate all'estremo, potrebbero sfociare in pericolose conseguenze come lo sono state negli ultimi anni le situazioni in Iraq, Afghanstan, Siria e Libia. Tutte ancora drammaticamente irrisolte.

La decisione del presidente turco Erdogan di accamparsi vicino al letto di un fiume in piena è rispettabile ma non condivisibile, perché figlia di una serie di scelte scellerate e dettate dall'egocentrismo iper ideologico prima che dalla finanza e dalla oggettiva programmazione politica.

Il deprezzamento della lira turca, con il conseguente iper indebitamento di un Paese che ha speso moltissimo, va ritrovato nella sfrenata accelerazione su debito pubblico, infrastrutturazione con piglio megalomane, corsa agli armamenti, mosse scomposte relative al dialogo commerciale con Cina e Iran, muso duro contro aziende private come Eni ed Exxon a Cipro.

Il dissidio con la Casa Bianca è l'ultima fase di una involuzione finanziaria iniziata con “il secondo tempo” di Erdogan che, smarrita la strada riformatrice abbozzata da Ataturk, ha costruito la propria parabola sui binari del neo ottomanesimo e non della real politik, con amici e parenti nominati ministri nemmeno fossimo in un qualche pseudo stato africano.

Il resto è fisiologico contorno, con un partner che sfrutta le debolezze dell'altro, con i tentativi di destabilizzazione di ben due quadranti, quello Mediterraneo e quello mediorientale che sta vivendo il dramma senza fine della guerra in Siria.

Ma nel mezzo ecco il punto di contatto con la Libia: il dossier idrocarburi. E'quella la partita (non di contorno) che si sta giocando nel mare nostrum, dalla Grecia fino ai piedi del Caucaso.

Egitto e Israele stanno assumendo un contorno diverso, rispetto a solo un lustro fa. Sono stati scoperti importantissimi giacimenti di gas, capaci di rivoluzionare alleanze e previsioni di pil, cancellerie e potenziali guadagni. E la Turchia è un passaggio, geografico e politico, significativo. Per questa ragione Erdogan non vuole restare a bocca asciutta e, in barba a leggi e trattati, continua a occupare militarmente Cipro e a minacciare chi si è legittimamente guadagnato il diritto di perforare la zona economica esclusiva.

Ieri il petrolio, oggi il gas. Ma se domani le cose dovessero ancora complicarsi, con l'avvicinamento pericoloso del punto politico del non ritorno, sarebbe complicatissimo doversi trovare a gestire uno scenario libico in Turchia, con folle esasperate e un leader fisiologicamente uscito di scena dopo parecchi anni di dominio.

Quella che occorrerebbe per il dopo-Erdogan sarebbe una terza via, soft, diplomatica ma realistica, senza produrre altro caos nel Mediterraneo orientale che già ha su suolo turco la bomba pronta ad esplodere dei tre milioni di profughi.

Un errore fare della Turchia una nuova Libia (dopo i mille passi sconclusionati in Siria). Ma peggio sarebbe assecondare ancora il Sultano che, dopo la costruzione della sua casa bianca da mille stanze, sembra aver smarrito lucidità e logica amministrativa.

 

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