Pescaraporto, processo vicino per tutti


Accusati tutti di falso in atto pubblico e abuso patrimoniale: rischiano da 1 a 4 anni


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
26/07/2018 alle ore 19:43

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Pressioni e favori per aiutare la società dei figli dell’avvocato Giuliano Milia. Arriva al traguardo l’inchiesta su Pescaraporto. Ieri gli indagati (Luciano D’Alfonso presidente della Regione Abruzzo e amico personale dell’avvocato Giuliano Milia, il segretario di D’Alfonso Claudio Ruffini, Guido Dezio capo di gabinetto del sindaco di Pescara, l’avvocato Giuliano Milia, in qualità di padre di Roberto, Ugo e Paola titolari della società Uropa srl che è comproprietaria con la srl Viana della società Pescaraporto srl, e amico personale di D’Alfonso “da lui già difeso in altri procedimenti penali” e Vittorio Di Biase, dirigente del servizio regionale del Genio civile di Pescara), hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini.

Accusati tutti di falso in atto pubblico e abuso patrimoniale: rischiano da 1 a 4 anni. Secondo la procura avrebbero procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla Pescaraporto, grazie all’attività di D’Alfonso che “forte del suo ruolo di presidente della Regione, faceva pressioni sull’ingegner Vittorio Di Biase, tramite l’intervento fattivo e cosciente del segretario dell’Ufficio di presidente della Regione Claudio Ruffini e del capo di gabinetto del sindaco di Pescara Guido Dezio, affinché – scrive la procura – nel presente caso di immediato interesse dell’amico Giuliano Milia, il predetto dirigente del servizio regionale del Genio Civile Di Biase, tenesse una condotta di favoritismo, giungendo al punto di redigere la nota del 15-3-2016 ideologicamente falsa sulla falsariga di un appunto manoscritto compilato dal Miliamedesimo”.

In pratica Di Biase il 15 marzo del 2016 scrisse una nota in cui “attestava falsamente” che sul terreno di Pescaraporto e sui manufatti che dovevano essere costruiti, erano stati fatti “specifici accertamenti condotti dalle autorità competenti in materia finalizzati a verificare la regolarità delle attività edilizie segnalate e delle relative procedure autorizzati soprattutto in ordine alle effettive condizioni di rischio idraulico e ai requisiti di tutela della pubblica e privata incolumità”.

Tutto al solo scopo di autorizzare la variazione della destinazione d’uso del fabbricato da turistico-alberghiero a terziario-direzionale. In realtà, rileva la procura, l’unica attività istruttoria era stata l’acquisizione da parte del Comune, la conferma burocratica da parte dell’autorità di bacino che erano ancora valide le circolari emesse nel 2005. “Talchè, anche al fine di realizzare il delitto di cui al capo seguente, si faceva apparire come tranquillizzante la situazione del rischio idraulico degli edificandi di manufatti della Pescara porto Srl dandosi atto, in sola apparenza e diversamente davvero, di una compiuta ed attuale verifica di detto rischio da parte di tutti clienti potenzialmente coinvolti: Comune di Pescara, autorità di bacino in genio civile”.

Ecco come la procura ricostruisce qui fatti: D’Alfonso fu evidentemente avvertito che Di Biase, il 18 gennaio 2016 aveva firmato un parere non favorevole in tema di compatibilità geomorfologica delle aree interessate, stabilendo quindi che c’era pericolosità idraulica conseguente all’approvazione della variante al piano stralcio difesa dalle alluvioni. Era stata la consigliera comunale pentastellata Erika Alessandrini a chiedere un’urgente verifica al Genio civile. Qui entra in campo D’Alfonso che, telefonando da Bruxelles a Claudio Ruffiini disponeva che lui accompagnato da Guido Dezio si recasse “oggi o domani, domattina se puoi” presso lo studio dell’avvocato Milia “che vi deve chiedere una informazione” e a una richiesta successiva di Ruffini per avere chiarimenti sui temi del colloquio D’Alfonso rispondeva: “andate e vi sarà detto”.

In seguito Ruffini e Dezio si recarono nella mattinata del 3 marzo 2016 intorno alle otto nello studio dell’avvocato Milia. In quei momenti lui e il governatore si scambiarono degli sms nei quali D’Alfonso invitava i suoi a elaborare una “risposta provvedimentale, solo apparentemente riconducibile alla determinazione del Genio civile), indirizzata al Comune di Pescara ed utile a integrare l’istruttoria successiva alla nota l’interpellanza consiliare della consigliera cinque stelle.

“Siamo da Milia ma non sappiamo il motivo. E’ la nota 5 stelle?” chiede in un sms Ruffini. “Sì, valutate la risposta”, risponde D’Alfonso.

Nello stesso incontro, utilizzando una copia dell’atto del genio civile del 17 febbraio 2016 già in suo possesso, l’avvocato Milia redigeva una specie di minuta, con noticine di sua mano a margine del testo fotocopiato, che doveva essere veicolata al pubblico ufficiale Vittorio Di Biase affinché modificasse l’orientamento del proprio ufficio. Alla fine venne mandato a D’Alfonso un report di conferma di quello che era avvenuto, sempre via sms: “Fatto, mi risento domani con Guido per completare”, scrive Ruffini. “Ok”, risponde D’Alfonso.

Ricevuto l’appunto di Milia, “Ruffini convocava l’ingegner Di Biase presso l’ufficio di presidenza della Regione e gli consegnava lo scritto preconfezionato dicendogli di adeguarsi a quanto indicato da Milia” .

Ci furono poi almeno altri due incontri tra Ruffini e Di Biase per la redazione della nota con il nuovo orientamento dell’ufficio del Genio civile: una prima bozza fu addirittura rifiutata da Ruffini e secondo la procura ci furono “pressioni dirette del presidente D’Alfonso su Di Biase, volte a imporgli il testo di Milia”.

Alla fine quindi Di Biase, come dirigente del servizio regionale del genio civile scrisse la nota del 15 marzo 2016, “ideologicamente falsa e sulla falsariga dell’appunto redatto da Milia, che operava nell’interesse della Pescaraporto beneficiata dall’atto”.

 

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