Rivera zero tituli


La Regione Abruzzo non poteva nominarlo in sostituzione di Giovanni Savini e nel farlo ha commesso una evidente forzatura


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
25/07/2018 alle ore 11:00

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Non solo non aveva i titoli per fare il Direttore del dipartimento della presidenza e dei rapporti con l’Europa, ma gli mancava proprio il “requisito di ammissione richiesto”: la Regione Abruzzo non poteva nominare Vincenzo Rivera in sostituzione di Giovanni Savini e nel farlo ha commesso una evidente forzatura.

Lo ha stabilito il tribunale del lavoro dell’Aquila, condannando la Regione a risarcire il ricorrente Carlo Massacesi con circa 60 mila euro, e questo lo sappiamo. Ma due giorni fa sono uscite le motivazioni della sentenza, che censurano la condotta della Regione Abruzzo su tutta la linea.

No, Rivera non aveva i titoli per fare il direttore di dipartimento, la legge parla chiaro e la Regione non poteva ignorarla: oltre alla laurea è richiesto il requisito “o dello svolgimento quinquennale di funzioni dirigenziali oppure del possesso di una particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica”.

Requisiti alternativi quindi. Ma Rivera non solo non ha fatto il dirigente per cinque anni, come lui dichiara tra l’altro nel curriculum allegato alla domanda di partecipazione, ma non ha neppure una particolare specializzazione professionale, nonostante quel che dice la Regione.

Ed è sempre il giudice Anna Maria Tracanna a sottolineare con un doppio tratto blu ciò che scrivono nella delibera di assunzione: “Di particolare interesse risultano essere le pubblicazioni inerenti a competenze scientifiche di alcuni settori del dipartimento”. Ma come fanno a essere considerate interessanti le pubblicazioni presentate da Rivera nel suo curriculum e cioè “Profili essenziali dell’emigrazione abruzzese dall’Unità ad oggi” e “La montagna italiana tra marginalità e sviluppo”, di 15 anni fa? Il tribunale è lapidario: queste pubblicazioni “non sembrano dare riscontro di alcuna specialistica competenza riconducibile alla figura del dipartimento della Presidenza e dei rapporti con l’Europa”.

Bocciato su tutta la linea, quindi. E bocciata (e censurato) la Regione e chi ha preparato e approvato la delibera di incarico. Ma è proprio sui cinque anni di incarico dirigenziale (che Rivera non ha mai fatto), che si apre la riflessione più preoccupante, soprattutto per la Regione che lo nomina dopo aver scartato 4 domande sulle 21 presentate: “Il candidato vanta titoli e una pluriennale esperienza in posizione dirigenziale”, scrivono nella delibera di incarico.

Ma i famosi cinque anni richiesti, Rivera non li ha mai fatti. Perché non è ruolo da dirigente quello del coordinamento e raccordo del presidente dal 2006 al 2008 né quello più recente di coordinamento della struttura di raccordo istituzionale del presidente del gennaio 2915 (presidente D’Alfonso). Intanto perché sono incarichi fiduciari e poi perché l’equiparazione dell’incarico “Gabinetto della presidenza “ e “Segreteria del presidente” a quello dei dirigenti previsto dalla legge regionale 17 del 2001 è stata abrogata dopo l’impugnazione da parte del governo perché violava “i principi di uguaglianza, buon andamento e imparzialità e in particolare il principio costituzionale del pubblico concorso, che offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci”.

Insomma, non possono fare i dirigenti gli uomini o le donne che vengono chiamati dal presidente su base fiduciaria e quindi senza concorso. In pratica, stabilisce il tribunale, Rivera ha fatto il dirigente soltanto dall’agosto 2005 al novembre 2006, per 14 mesi.

Non sufficienti per essere nominato direttore di dipartimento. Che poi lui sia stato pagato come dirigente, poco importa. Ma un aspetto è chiaro, e viene ribadito nella sentenza: “L’accesso alla dirigenza deve avvenire per pubblico concorso e non sulla base di una designazione altamente fiduciaria”.

E viene introdotto un altro importante tassello, che rischia di far saltare anche tutto l’apparato fiduciario di Luciano D’Alfonso: le strutture di coordinamento e raccordo istituzionale “rivestono una funzione ausiliaria rispetto all’esercizio delle attività politico-istituzionali del presidente”, e quindi non presentano autonomia e non possono configurarsi come ruoli dirigenziali.

C’è di più: secondo il tribunale non si capisce sulla base di quali criteri la Regione abbia attribuito i punteggi ai vari candidati.

“C’è un palese difetto di motivazione laddove non c’è traccia negli atti della procedura – scrive il giudice – se non ex post, delle modalità con cui tali criteri sono stati applicati, quale peso ciascuno abbia rivestito e quale sia stata la valutazione dei candidati…venendo meno l’amministrazione, anche sotto tale profilo, all’obbligo di esternare le ragioni giustificativi dei punteggi assegnati e delle valutazioni operate”.

Sulla base di tutto ciò, Carlo Massacesi che col suo ricorso non ha chiesto che venisse annullata la selezione ma soltanto il riconoscimento del danno, otterrà dalla Regione un corposo riconoscimento.

ps: La sentenza apre la strada ad altri ricorsi, ma soprattutto pone un enorme interrogativo: se Rivera non aveva i titoli per fare il direttore del dipartimento della presidenza, come può averli per fare il direttore generale?

 

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