Fantascienza curativa - L'occhio del gatto/Il film/Tito e gli alieni/#decimaMusa


Il film è un'invenzione originale e a tratti surreale, con trovate incredibili e divertenti


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
25/06/2018 alle ore 08:19



#TitoEGliAlieni (Regia: Paola Randi. Con: Valerio Mastandrea, Clémence Poésy, Luca Esposito, Chiara Stella Riccio, Miguel Herrera, John Keogh, Gianfelice Imparato. Genere: Commedia, Fantascienza)

Sono una fervida ammiratrice di Valerio Mastandrea, per questo non ho voluto perdere l’opera seconda di Paola Randi (dopo Into Paradiso, una commedia tutta napoletana, che ha in comune con Tito e gli alieni un ottimo attore partenopeo: Gianfelice Imparato, qui nella parte del fratello morto, che parla con delle registrazioni video postume).

Il film è un’invenzione originale e a tratti surreale, con trovate incredibili e divertenti, per parlare di un tema assolutamente terreno e appartenente a tutti: quello del dolore della perdita delle persone amate, della morte, degli interrogativi ad essa legati.

Del “cosa c’è dopo”, e se guardando in cielo possiamo avere la speranza di scorgere una luce o una voce che ci riporti ai nostri affetti. Il protagonista è un professore napoletano che vive in pieno deserto del Nevada per eseguire un esperimento scientifico misterioso, legato ai suoni dello spazio, alla ricerca di un collegamento con l’aldilà.

C’è un divano nel nulla dove lui sta sdraiato, con degli strumenti di ascolto per mettersi in contatto con mondi (forse alieni). Sono anni che sta lì, senza grandi risultati. Non sono però gli extraterrestri quelli che cerca il Professore: ma la voce della sua amata moglie, persa da qualche anno prematuramente. Irrompe nella vita assurda del personaggio (interpretato in modo perfetto da un Mastandrea non romano ma napoletano) la morte del fratello, che gli spedisce oltreoceano i figli rimasti orfani.

Un bambino, Tito, che dà il titolo al film, per quanto è importante nel racconto, ed un’adolescente, Anita: entrambi credono di andare a vivere a Las Vegas, da ricchi, in una villa con piscina. Ed invece si ritrovano sotto le stelle e tra le pietre, lontani ore dalla “civiltà”, con unici contatti umani una comunità di yankees strampalata e affettuosa. Il racconto è godibile e divertente, un plauso meritano Luca Esposito e Chiara Stella Riccio, i nipoti catapultati da Napoli, che giorno per giorno imparano a capire chi è questo zio apparentemente lontano ed un po’ folle.

E si appassionano della sua stessa missione, nel tentativo di entrare in contatto con il padre. Il film mi ha ricordato Coco, lo splendido lungometraggio di animazione della Disney premiato agli Oscar. Nella stesso modo mi ha commosso moltissimo, sono uscita dal cinema con la medesima sensazione di consolazione.

Perché non c’è uomo che non tema il distacco da chi ama, e l’idea di non potere più vedere quella persona o sentire la sua voce. Come sarebbe bello se ciò che racconta la regista fosse vero, come sarebbe bello se ci fosse un’altra dimensione rassicurante. Se non ci fosse la parola fine a tutto e potessimo ancora, in qualche modo, rincontrarci dopo la morte. Ah dimenticavo: la frase del film è “Credo agli alieni quanto credo al matrimonio”, detta dalla wedding planner che fa da autista al Professore. La trovo divertente e personalmente la condivido.

È consigliato a chi sta soffrendo per una perdita, fa davvero bene. 4 ciak

 

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