Le colonne d'Ercole che stanno schiacciando l'Ue


Si discute troppo (di dazi, Via della seta, gasdotti e nuovo imperialismo neo ottomano) e si decide spesso troppo tardi (sbagliando)


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
08/06/2018 alle ore 08:31

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L'Ue sta perdendo del tempo prezioso dibattendo sui dazi di Trump e sulla Via della seta di Pechino, quando invece farebbe meglio ad immaginare una nuova strategia (propria e progettuale) che le permetta di essere un player. 

Interrogarsi sulla decisione dell'aministrazione Usa di introdurre balzelli su una serie di prodotti significa togliere sostanza e risorse alla fase programmatica che dovrebbe incarnare il senso più intimo di una risposta, prevedendo contromisure, immaginando scenari che non facciano perdere soldi e contratti alle nostre aziende.

Invece nel vecchio continente sta prendendo forma un vecchio vizio della sinistra italiana, molto prona a dialogare e dibattere lungamente ma poi con il rischio di perdere la lucidità necessaria per attrezzarsi con azioni immediate. Si discute ma non si decide. O meglio, si discute troppo e si decide spesso in ritardo e sbagliando.

Dazi, via della Seta ma non solo. Se sulla politica economico-commerciale della Casa Bianca è ormai tutto protofanico, su altri due fronti i dadi sono sì tratti ma con margini differenti per il versante euromediterraneo.

La Via della Seta, il gigantesco piano cinese di globalizzazione che sta già investendo l'Europa, potrebbe essere tramutato in occasione di sviluppo e interlocuzione per quei paesi che si affacciano sul Mare Nostrum. Pechino sta investendo anche nell'infrastrutturazione del costone balcanico, con nuove ferrovie e strade, al fine di creare una rete dove una rete non c'è.

Ha privatizzato un hub eccezionale come Pireo, dove scarica migliaia di containers, e cerca sponde nei porti di Trieste (e forse Genova). Accogliere questi nuovi flussi di merci e opportunità senza una struttura burocratica e moderna all'altezza sarebbe un tragico errore.

Al pari di subire supinamente le continue mosse del sultano Erdogan, ormai accecato dall'incubo di pareggiare le imminenti elezioni in Turchia anche a causa di una controversa politica economica che potrebbe portare il paese sul Bosforo a un default non preventivato sino a pochi anni fa. Il jolly dei gasdotti dovrebbe essere un pungolo anche per l'Italia, dove continuano le proteste anti Tap nei cantieri pugliesi, organizzate finanche con bebè nelle braccia dei manifestanti.

Come se senza Tap e Tav l'Italia guadagnasse qualcosa (semmai è vero il contrario): qui occorre come il pane un trittico di azioni, come potenziare le merci in treno, l'alta velocità (vera) anche al sud e il rinnovamento del trasporto ferroviario regionale che impedirebbe l'invasione di auto nelle città dalle province.

A volerla dire tutta, il nodo non è il colore del manico: se populista, democratico, promettista o tagliodinastrista. Ma si ritrova nel merito.

Per cui se gli Stati membri non riusciranno ad elaborare una strategia che sia una replica alle frecce scoccate tanto da oriente (globalizzazione commerciale) quanto da occidente (dazi trumpiani), significa che resteranno schiacciati inesorabilmente nelle proprie deficienze strutturali. Con buona pace di tutte le fazioni in campo.

 

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