La Regione abbandonò Rigopiano


E'l'accusa contenuta nel capo di imputazione che la procura di Pescara ha recapitato al presidente Luciano D'Alfonso


di Lilli Mandara
Categoria: Maperò
08/06/2018 alle ore 07:29



E’ stata la Regione Abruzzo a lasciare che l’hotel Rigopiano restasse isolato dal mondo. E’ questa l’ accusa contenuta nel capo di imputazione che la procura di Pescara ha recapitato ieri al presidente Luciano D’Alfonso, al sottosegretario alla protezione civile Mario Mazzocca, al responsabile della sala operativa Silvio Liberatore e al dirigente del servizio Antonio Iovino e agli altri indagati. Quel giorno maledetto di un anno e mezzo fa, quando una valanga travolse l’albergo uccidendo 29 persone, la strada provinciale, dal resort al bivio Mirri, era “impercorribile per ingombro di neve, di fatto rendendo impossibile a tutti i presenti nell’albergo di allontanarsi, tanto più in quanto allarmati dalle scosse di terremoto”. 

Ma non è tutto: la Regione attivò tardivamente il Core, il Comitato operativo regionale per le emergenze, scrive ancora la procura, “peraltro in assenza di piani di emergenza regionali, in località diversa da quelli della sala operativa”. Un capitolo importantissimo, che Mapero’ scrisse in anteprima il 15 gennaio scorso.

E’ il nuovo importante tassello che la procura inserisce nell’inchiesta sulla strage di Rigopiano che punta dritto sulle responsabilità della Regione, che era “pienamente consapevole dell’emergenza neve in Abruzzo”. Nel capo di imputazione vengono citate sia la nota inviata il 16 gennaio dello scorso anno dal capo di gabinetto della prefettura di Pescara Leonardo Bianco al Consiglio dei ministri, sia i messaggi del sindaco di Farindola Ilario Lacchetta a D’Alfonso e al presidente della Provincia Antonio Di Marco per sollecitare l’invio di mezzi spazzaneve. Ma D’Alfonso e i suoi pensavano ad altro, e le turbine vennero dirottate altrove.

Una lunghissima serie di omissioni: non solo la convocazione tradiva del Core, ma anche la mancata approvazione della Carta valanghe, come hanno sottolineato nella loro denuncia gli avvocati di Lacchetta, e soprattutto, scrive la procura, l’assenza di risorse destinate allo scopo:

“Omettevano – si legge nell’imputazione – ciascuno in relazione alle rispettive funzioni e responsabilità, di intervenire presso i funzionari responsabili del servizio di protezione civile, richiedendo e sollecitando tempestivamente – tenuto conto dei necessari tempi tecnici per lo studio e redazione – l’attuazione e l’esecuzione degli obblighi scaturenti direttamente dalla legge regionale 47 del 1992 e, in particolare, la redazione e realizzazione della carta di localizzazione dei pericoli di valanga, e questo mediante anche la necessaria individuazione delle indispensabili, notevoli risorse finanziarie che presupponevano il loro reperimento in forme non ordinarie, implicanti una specifica volontà politica”.

Un passaggio questo che sembra ispirato dalle recente dichiarazioni dell’ex direttore generale della Regione Cristina Gerardis, anche lei tirata in ballo nell’inchiesta proprio da Luciano D’Alfonso: la Gerardis ha detto ai magistrati che la Carta Valanghe non era nel programma di governo e che la giunta non aveva mai inserito le risorse nel bilancio, di conseguenza lei non avrebbe potuto dare attuazione a ciò che non esisteva e che l’organo politico non aveva mai neppure immaginato. E proprio la mancata approvazione della Carta ha impedito al sindaco Lacchetta,secondo la procura, di segnalare le opere realizzate dall’hotel al Comitato tecnico regionale per lo studio della neve e delle valanghe, segnalazione che avrebbe potuto dar luogo alla chiusura dell’hotel nel periodo invernale e a “un piano di bonifica preventiva degli accumuli nevosi con procedure di distacco controllato”.

Il Core, quel pomeriggio del 18 gennaio, venne chiuso con netto anticipo, tutti a casa alle 17.25. La violazione commessa dalla Regione è palese: la legge n.72 del 14 dicembre del 1993 stabilisce che l’ente si occupi “della elaborazione dei piani di emergenza che devono provvedere alla individuazione e organizzazione permanente dei mezzi e delle strutture operative, nonché ad ogni altra iniziativa necessaria per interventi di protezione civile, compresi quelli di supporto agli enti locali, assicurando la compatibilità e il coordinamento dei piani stessi con quelli provinciali elaborati dalle Prefetture”. In quelle ore D’Alfonso e Mazzocca, con l’ex segretarioClaudio Ruffini, dirottarono le turbine a Campotosto, Civitella del Tronto, Montereale ma a Rigopiano no.

Quando l’ Anas segnalò che c’era “gente sotto a una slavina”, la risposta fu da brivido:

“Non se ne frega niente D’Alfonso, queste sono le disposizioni”. Hanno sottovalutato tutto: lo dice un amministratore, il sindaco di Cortino, in quelle ore concitate.

“Non ci state a capire niente, non ci state a capire una mazza, avete rotto i coglioni, oh Sandro hanno sottovalutato tutto”.

Il prossimo 19 giugno inizieranno gli interrogatori per gli indagati. Nell’inchiesta sono coinvolti anche gli ex presidenti di Regione Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi con relativi assessori alla Protezione civile. Tutti, a diverso titolo sono accusati di omicidio, lesioni e disastro colposo.

Ed ecco la replica di D’Alfonso:

“Sono convinto che la Regione abbia operato con diligenza, premura e risolutezza. Mi farò parte attiva affinché il lavoro della magistratura proceda speditamente e sono pronto a versare in atti tutto il mio patrimonio conoscitivo sulle contestazioni che fanno parte del fascicolo accusatorio. Dettaglierò ogni minuto delle giornate del 17,18,19 gennaio 2017, ovvero prima-durante-dopo la convocazione della riunione del Comitato Operativo Regionale di Protezione civile. Sulla “Carta del rischio valanghe” va chiarito che i primi due lotti erano stati già appaltati e in esercizio contrattuale prima dei fatti di Rigopiano, quindi non si può sostenere che non vi fosse: essa era coincidente con quelle parti di territorio che la Carta storica aveva segnalato con una certa ed impegnativa ripetitività valanghiva”.

ps: anche se non si spiega come mai, se la Regione, come dice D’Alfonso, ha operato con diligenza, poi nella memoria lui abbia accusato il suo direttore generale.

 

 

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