Usa, stesso metodo per una nuova testa: perché Trump chiama Pompeo


Che cosa cambia nello scacchiere mediorientale e in quello mediterraneo dopo l'arrivo del falco dalla Cia


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
14/03/2018 alle ore 10:21

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Il metodo è pressappoco lo stesso di sempre: licenziato con un tweet. Donald Trump sostituisce il Segretario di Stato Rex Tillerson con il numero 1 della Cia Mike Pompeo, ma la notizia non è in quel cinguettio bensì nelle posizioni del nuovo braccio destro della Casa Bianca su dossier strategici come l'accordo con l'Iran, i rapporti con Mosca e il quadrante mediterraneo.

Pompeo, un passato da senatore repubblicano supportato dal Tea Party, è un falco ultraconservatore che sull'Iran la pensa come The Donald. Crede che l'accordo sul nucleare porti solo vantaggi a Teheran e non a Washington, che le minacce alla sicurezza nazionale siano da controbattere con veemenza, e che l'immagine a stelle e strisce da offrire al globo debba essere quella solida incarnata dall'intransigenza di Langley. Un mastino, insomma.

Sull'Iran si è consumata la rottura con Tillerson: la Casa Bianca non accettava che la Repubblica Islamica dell’Iran continuasse la ricerca nucleare assieme ai test sui missili balistici che di fatto gli sono vietati da ben due risoluzioni delle Nazioni Unite.

Ad oggi lo scenario statunitense nei quadranti più caldi del pianeta potrebbe cambiare radicalmente, frutto del combinato disposto di un Presidente spesso sopra le righe e di un Segretario di Stato così spiccatamente azionista.

E'chiaro che così tanti cambi nella squadra di governo non offrono un panorama di stabilità e di rapporti, ma questa Casa Bianca ragiona con altre logiche rispetto al passato. Non è stato un fulmine a ciel sereno il licenziamento di Tillerson ma figlio di un'inversione a U della politica estera di Washington in molte delle aree chiave del pianeta.

All'orizzonte una serie di appuntamenti significativi attendono Pompeo. In primis l'incontro con Kim per capire come muoversi nella penisola coreana e in Estremo Oriente; poi la questione dei dazi che gli Usa impugnano ormai come una clava, economica e politica, e che produrrà dei riverberi chirurgici nei rapporti con gli Stati; il caso siriano dove in molti a Washington spingono per una azione maggiormente aggressiva; la creazione di una stagione nuova con i paesi del Golfo, dove spicca il programma Vision 2030 del nuovo leader Bin Salman.

Nel mezzo la patata bollente rappresentata dalla Turchia (nella Nato), il cui ministro degli esteri da Mosca ha dichiarato che i rapporti con gli Usa sono ai minimi storici e aprendo un nuovo fronte caldo dopo il caso Saipem e le reazioni militari di Ankara contro Cipro e Grecia. Pompeo, in occasione del golpe farlocco in Turchia del lugio 2016, paragonò il regime di Erdogan a quello iraniano.

Se tanto mi dà tanto, ecco che la prima mossa del neo segretario di Stato potrebbe essere una visita proprio nel Vecchio Continente, dove davvero si è a un passo dallo scontro.

 

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