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Non è sufficiente fare la lista dei bilanci, occorre che le cancellerie si sforzino di produrre visioni e strategie


di Francesco De Palo
Categoria: Francesco De Palo
31/12/2017 alle ore 21:10

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Meno Isis in Iraq e Siria, ma più sale sulle ferite dei migranti, con un occhio particolare all'iper attivismo industriale franco tedesco a cui Roma non riesce ancora una volta a controbattere adeguatamente.

E'una delle chiavi di lettura a cavallo tra il 2017 e il 2018 (forse la più fisiologica) che viene in mente nel dare i voti sulla politica estera che sarà, ancora per molto, centrata sul Mare Nostrum e su quel fazzoletto di acque e di storie che da millenni giocano un ruolo di indiscusso player.

La svolta trumpiana di cui tanto si discuteva relativa allo spostamento del cono di interesse a stelle e strisce dal Mediterraeno al sud est asiatico, è ancora da decifrare completamente. Nella macro area restano sul tavolo numerosi fronti ancora aperti. Se sul versante siriano gli elementi sembrano andare verso una ricomposizione organica e armonica, e se in Iraq le reazioni anti Isis potrebbero aver segnato un punto decisivo, è nel centro e nel sud del nord Africa che permangono infezioni e risentimenti.

Il vicolo cieco libico ad oggi non mostra strade alternative, forse per la cocciutaggine con cui i registi stanno proseguendo nella gestione di sempre. Probabilmente Berlino ha allentato la morsa, viste le diffcoltà interne relative alla composizione del nuovo governo. Di certo Parigi non rinuncia al suo tradizionale iper attivismo nella parte subsahariana, con le proprie forze speciali ormai da anni in pianta stabile.

Oltre alla ormai atavica incertezza industriale di Roma (fatti salvi gli impianti Eni) è Londra a distinguersi per una fase di indubbio stallo direttamente proporzionale agli inciampi del governo May, giunti davvero nel momento sbagliato.

La bolla dei migranti riesploderà di nuovo a breve, come già dimostrano i mini arrivi degli ultimi giorni. Non è sufficiente alzare bandiera bianca quando Lampedusa scoppia, serve andare in Africa e valutare i flussi anomali a monte. Accanto a ciò, ecco la partita dei minerali che proprio nel continente africano vede Cina e Germania protagoniste con un attivismo che dura ormai da anni.

Stesso dicasi per il costone balcanico, dove manca una sterzata da parte dell'Italia: va bene affiancarsi ai governi per cooperazione e accordi, ma qui serve davvero dell'altro. Come una stagione di investimenti, di rapporti da cucire con acciaio e con con filigrana, supportando magari Confindustria che lì ha una sezione dedicata, a fare rete con le camere di commercio e le imprese che guardano a est.

E'in questo frangente che occorrerebbe una nuova politica industriale per l'Italia, ancora alle prese con il caso Ilva lontano dall'essere risolto, con le vertenze in siti cardine, con la consueta immobilità del porto di Gioia Tauro ancora lasciato nelle mani della criminalità, senza una parola decisa alla voce logistica integrata.

I cinesi sono ormai arrivati e l'annuncio della Via della Seta è solo cornice. Bruxelles fa spallucce, Roma si dedica adesso solo alle prossime urne, Londra è preda dei fumi di Downing Street e Berlino fatica a venir fuori da mesi di impasse politico.

Sul campo, invece, restano i cocci di un continente che avrebbe bisogno di un De Gaulle, un Adenauer, un Einaudi. Comunque, forza e coraggio (anche se meglio non farsi illusioni).

 

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